Nascita | Cafarnao |
Morte | Etiopia (o Hierapolis) |
Venerato da | Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi |
Canonizzazione | pre-canonizzazione |
Santuario principale | Cattedrale di Salerno |
Ricorrenza | 21 settembre (Chiesa Occidentale) 16 novembre (Chiesa Orientale) |
Attributi | Angelo, Spada, Portamonete, Libro dei conti, libro del Vangelo |
Patrono di | Salerno, banchieri, contabili, doganieri, esattori, ragionieri, Guardia di Finanza |
Matteo (Cafarnao, 4/2 a. C. circa – Etiopia, 24 gennaio 70 o 74) fu, secondo i Vangeli, uno dei dodici apostoli di Gesù e, secondo la tradizione, l’autore del primo evangelo, ovvero il Vangelo secondo Matteo, scritto in lingua aramaica. Il nome MATTEO significa “UOMO DI DIO”.
In questo stesso vangelo viene chiamato “il pubblicano” e descritto come esattore delle tasse prima della chiamata di Gesù; in Marco e Luca lo stesso pubblicano viene chiamato Levi, anche se non viene esplicitamente identificato con l’apostolo Matteo. Matteo non va confuso con l’apostolo quasi omonimo Mattia. È uno dei primi Apostoli che Gesù chiamò alla sua sequela.
Giudeo di nascita, figlio di Alfeo, secondo S. Marco egli esercitava il mestiere di gabelliere in Cafarnao.
Quando il Maestro Divino gli disse di seguirlo, stava appunto seduto al banco delle gabelle sulle rive del lago.
Ecco il tratto evangelico «E Gesù tornò verso il mare; e tutto il popolo andava a lui e li ammaestrava. E nel passare vide Levi d’Alfeo, seduto al banco della gabella, e gli disse: Seguimi. Ed egli, alzatosi, lo seguì».
Mirabile generosità! Matteo aveva un ufficio che gli assicurava una certa agiatezza.
Ma questa pronta rinuncia ai beni per seguire Gesù gli meritò una tale abbondanza di grazia da raggiungere le più alte cime della perfezione cristiana.
Matteo ebbe in seguito la fortuna di ospitare in casa sua il Salvatore, onde i Farisei si scandalizzarono moltissimo, perché Gesù mangiava coi pubblicani e coi peccatori. Ma conosciamo la solenne risposta di Gesù «Non son venuto per i sani, ma per i malati».
Ricevuto lo Spirito Santo nella Pentecóste, predicò il Vangelo nella Giudea e nelle contrade vicine e poco dopo la dispersione degli Apostoli per il ‘mondo, scrisse il Vangelo destinato ai Giudei.
Matteo, siccome scriveva per i suoi connazionali ebrei, volle dimostrare che Gesù Crocifisso era il Messia aspettato, il Redentore d’Israele profetato dalle Scritture.
Ad ogni passo infatti si trova l’espressione «Come è stato scritto da Isaia profeta, dai profeti», E MINUZIOSAMENTE PROVA COME LE PROFEZIE E LE PROMESSE DELL’ANTICO TESTAMENTO SI SIANO COMPIUTE IN GESÙ CRISTO.
PERCHÉ ERA DETESTATO?
Il disprezzo per i pubblicani, ai tempi di Gesù, era molto ben radicato: erano esattori di tasse, e non si detesta qualcuno soltanto perché lavora in quella che oggi chiameremmo intendenza di finanza. Ma gli ebrei, all’epoca, non pagavano le tasse a un loro Stato sovrano e libero, bensì agli occupanti Romani; in pratica, si trattava di finanziare chi li opprimeva. E guardavano all’esattore come a un detestabile collaborazionista. Matteo fa questo mestiere in Cafarnao di Galilea. Col suo banco lì all’aperto. Gesù lo vede poco dopo aver guarito un paralitico. Lo chiama. Lui si alza di colpo, lascia tutto e lo segue. Da quel momento cessano di esistere i tributi, le finanze, i Romani. Tutto cancellato da quella parola di Gesù: “Seguimi”.
Gli studi moderni sulla reale identità dell’autore del Vangelo secondo Matteo hanno opinioni discordanti.
Attualmente, comunque, la quasi unanimità degli studiosi, inclusa la più autorevole esegesi cristiana, ritiene che l’apostolo Matteo, in merito al vangelo attribuitogli, non sia stato l’autore e neppure un testimone oculare e che “c’è un accordo quasi unanime nei circoli scientifici di oggi che l’evangelista è sconosciuto, anche se continuiamo a usare il nome «Matteo».
La sua dipendenza da Marco (e da Q, un corpo dei detti di Gesù in greco, noto anche a Luca) indica che non era un testimone oculare del ministero di Gesù”.
Anche in merito all’attribuzione a Matteo della Fonte Q, gli esegeti della Bibbia di Gerusalemme precisano: “Alcuni hanno perfino proposto di identificare la fonte Q (raccolta soprattutto di «parole» di Gesù) con Matteo, del quale Papia dice che ha messo in ordine i «detti» del Signore.
Ma Papia usa la stessa espressione per indicare Marco (cf anche il titolo della sua opera) e nulla permette di pensare che il Matteo di cui parla abbia contenuto solo dei logia [detti di Gesù]”. A Matteo sono anche tradizionalmente riferiti dei testi apocrifi: il Vangelo dello pseudo-Matteo, che parla dell’infanzia di Cristo, gli Atti di Matteo e il Martirio di Matteo che ne descrivono la predicazione.
Secondo la tradizione della Chiesa, Matteo viene raffigurato insieme ad un uomo alato che lo ispira o gli guida la mano mentre scrive il Vangelo; l’uomo alato è uno dei quattro esseri viventi presenti nel libro di Ezechiele e nel libro dell’Apocalisse e ciò perché il Vangelo di Matteo esordisce con la genealogia terrena e l’infanzia di Gesù Figlio dell’uomo, sottolineandone quindi l’umanità.
Biografia
I pubblicani costituivano una delle categorie più odiate dal popolo ebraico. Gli esattori delle tasse pagavano in anticipo all’erario romano le tasse del popolo e poi si rifacevano come usurai tartassando la gente. sacerdoti, per rispettare il primo comandamento, vietavano al popolo ebraico di maneggiare le monete romane che portavano l’immagine dell’imperatore. I pubblicani erano quindi accusati di essere peccatori perché veneravano l’imperatore.
Gesù passò vicino al pubblicano Levi e gli disse semplicemente Seguimi (Marco 2,14). Ed egli, alzandosi, lo seguì; e immediatamente tenne un banchetto a cui invitò, oltre a Gesù, un gran numero di pubblicani e altri pubblici peccatori.
Il riferimento a un esattore di imposte a Cafarnao, di nome Levi, compare anche in Luca 5,27. Lo stesso episodio è riportato in Matteo 9,9, dove però il pubblicano viene chiamato Matteo; Levi e Matteo vengono generalmente ritenuti la stessa persona. Gesù lo scelse come membro del gruppo dei dodici apostoli e come tale appare nelle tre liste che hanno tramandato i tre vangeli sinottici:
- Matteo 10,3
- Marco 3,18
- Luca 6,15.
Il suo nome appare anche in Atti 1,13, dove si menzionano gli apostoli che costituiscono la timorosa comunità sopravvissuta alla morte di Gesù.
Il nome Matteo vuol dire Dono di Dio. Alcuni suppongono che abbia cambiato il nome come una forma tipica dell’epoca, per indicare il cambiamento di vita, analogamente a Simone, poi Pietro, e Saulo, poi Paolo.
Secondo alcune tradizioni, riportate da Clemente Alessandrino e dallo gnostico Eracleone, sarebbe morto per cause naturali.
Secondo altre Passiones apocrife, attestate nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, avrebbe portato alla conversione il re Egippo e la terra su cui regnava, l’Etiopia, dopo aver fatto risorgere miracolosamente la figlia Ifigenia. La tradizione racconta anche che, alla morte del sovrano, gli sarebbe succeduto sul trono il re Irtaco, fratello di Egippo, che avrebbe voluto sposare la figlia del re defunto, Ifigenia, che però aveva consacrato la sua verginità al Signore.
Dal momento che la sua proposta di matrimonio era stata rifiutata dalla giovane, Irtaco chiese a Matteo di persuaderla a concedersi a lui, ma il santo in risposta lo invitò ad ascoltare una sua predica che avrebbe tenuto il sabato successivo nel tempio al cospetto di tutta la popolazione.
Quel sabato l’apostolo proclamò solennemente che il voto di matrimonio di Ifigenia con il re celeste non avrebbe potuto essere infranto per il matrimonio con un re terreno perché se un servo usurpasse la moglie del suo re sarebbe giustamente arso vivo. Il santo sarebbe stato ucciso sull’altare mentre celebrava la messa, trafitto a colpi di spada da un sicario inviato dal re.
Culto
La festa del santo ricorre il 21 settembre. Ogni anno nella città di Salerno viene festeggiato come patrono con una solenne processione che attraversa il centro storico.
Accanto a lui sfilano altri cinque santi, San Giuseppe, il papa San Gregorio VII, morto in esilio e seppellito a Salerno, i martiri San Gaio, Sant’Ante e San Fortunato, che – nonostante rappresentino tre figure maschili – sono chiamati tradizionalmente “le sorelle di Matteo”, confondendoli con Sant’Archelaide, Santa Tecla e Santa Susanna, anche loro martiri del III secolo.
Il capoluogo campano, fino al secondo dopoguerra, usava ricordare ogni anno il miracolo avvenuto nel 1544.
Secondo quanto viene tramandato nel narrare il miracolo, fu solo grazie all’intervento del Santo Patrono che la città di Salerno riuscì a salvarsi dall’attacco dei pirati saraceni.
È venerato anche a Casal Velino (SA) nella frazione Marina dove le spoglie dimorarono per circa 4 secoli presso l’odierna cappella di San Matteo “ad duo flumina”.
La festa si articola in due giorni: 20 e 21 settembre. La sera del 20 con i solenni vespri e il giorno 21 con la solenne processione per le vie della città con il simulacro del Santo.
Reliquie
Le sue reliquie sarebbero giunte a Velia, in Lucania, intorno al V secolo, dove rimasero sepolte per circa quattro secoli. Il corpo del Santo fu rinvenuto dal monaco Atanasio nei pressi di una fonte termale dell’antica città di Parmenide.
Le spoglie furono portate dallo stesso Atanasio presso l’attuale chiesetta di San Matteo a Casal Velino. Il modesto edificio dalla semplice facciata a capanna presenta, alla destra dell’altare, l’arcosolio, dove secondo tradizione furono depositate le sacre reliquie del Santo.
Un’iscrizione latina piuttosto tarda (XVIII sec.), incastonata sul lato corto dell’arcosolio, ricorda l’episodio della traslazione; successivamente le ossa furono portate presso il Santuario della Madonna del Granato in Capaccio-Paestum.
Ritrovate in epoca longobarda, furono portate il 6 maggio 954 a Salerno, dove sono attualmente conservate nella cripta della cattedrale.
Patronati
San Matteo è considerato il patrono di banchieri, bancari, ammalati gravissimi, finanzieri, animali in difficoltà e amati da qualcuno, ragionieri, commercialisti, contabili. Inoltre è il Santo patrono di numerose località italiane.
Un’antica tradizione associa agli Evangelisti quattro figure diverse (tre delle quali sono animali, una è invece una figura umana)
Uno dei motivi più comuni dell’arte cristiana è il cosiddetto Tetramorfo: dal greco “tetra”, quattro e “morphé”, forma. Ovvero una rappresentazione composta da quattro elementi o forme.
È la maniera più comune con cui vengono raffigurati i quattro Evangelisti:
- Tre di loro sono rappresentati da animali
- e uno solo – San Matteo – è rappresentato da una figura umana o, più spesso, angelica.
Ovviamente questa rappresentazione ha più di una base biblica: la prima corrisponde alla visione dei “quattro esseri viventi” di Ezechiele.
Il profeta descrive quattro esseri che, visti di fronte, hanno volto umano; il loro profilo destro ha fattezze di leone, quello destro fattezze di bue.
Ma, nello stesso tempo, “ognuno dei quattro ha fattezze d’aquila” (Ezechiele 1:8-11).
È comune sentenza dei Ss. Padri della Chiesa che l’animale che aveva la figura quasi d’uomo raffigura S. Matteo, il quale appunto comincia il Vangelo colla generazione temporale di Gesù.
Sappiamo tutti che la combinazione di esseri viventi e simbologie era abbastanza comune nell’Antico Egitto, così come lo era in Mesopotamia.
Basta ricordare le sfingi egizie, i tori alati babilonesi o le arpie greche.
Ezechiele fu uno dei profeti giudei vissuti in Babilonia intorno al VI sec. a.C. La sua visione – sostengono i biblisti – potrebbe aver subito influenze dell’antica arte assira, nella quale erano abbastanza diffusi motivi analoghi.
È inoltre noto – grazie all’archeologia, alla paleografia e ad altre scienze simili – che questi simboli corrispondono ai quattro segni fissi dello zodiaco babilonese:
- il bue rappresenta il Toro,
- il leone – ovviamente – il segno del Leone,
- l’aquila rappresenta lo Scorpione
- e l’uomo (o l’angelo) rappresentano l’Acquario.
Ragion per cui i primi cristiani adottarono questi simboli, associandoli ai quattro evangelisti dal V sec.
L’altra base biblica di questa rappresentazione si trova nell’Apocalisse di Giovanni, al capitolo 4 versetto 7: “Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola”.
Adesso la domanda è un’altra: con quale criterio viene attribuito ad un evangelista viene attribuito un simbolo e non un altro?
Ci sono validi motivi, associati alle particolarità dei testi di ciascun autore, sui quali san Geronimo scrisse in dettaglio.
- A Matteo viene associato l’uomo alato – o l’angelo – perché il suo Vangelo è incentrato sull’umanità di Cristo, secondo il commento di San Girolamo sul testo di Matteo. Infatti è questo evangelista ad includere il racconto della genealogia di Gesù.
- Il leone viene associato a Marco perché il suo Vangelo enfatizza la maestà di Cristo e la sua regalità. Il leone è tradizionalmente considerato come il re delle bestie.
- Il bue viene associato a San Luca perché il suo Vangelo è incentrato sulla natura sacrificale della morte di Cristo. Il bue è da sempre considerato l’animale sacrificale per eccellenza.
- A Giovanni viene infine associata l’aquila, per due ragioni: la prima è che il suo Vangelo descrive l’Incarnazione del Logos divino, e l’aquila è simbolo per eccellenza di ciò che viene dall’alto. La seconda ragione è che, come l’aquila, Giovanni – nell’Apocalisse – fu in grado di vedere al di là del presente.