SABATO XXXII^ SETTIMANA T.O. 13.11.2021– Luca 18,1-8 “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

Vedere approfondimenti sul nostro sito WWW.INSAECULASAECULORUM.ORG

Dal Vangelo secondo Luca 18,1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Nel vangelo secondo Luca, Gesù aveva già dato un insegnamento sulla preghiera attraverso la consegna ai discepoli del Padre nostro (Lc 11,1-4) e una successiva parabola, poi commentata, sulla necessità di insistere nella preghiera, chiedendo e bussando presso Dio, CHE SEMPRE CONCEDE LO SPIRITO SANTO, cioè la cosa più necessaria ai credenti (Lc 11,5-13).

La preghiera, lo sappiamo bene, è un’attività difficile, faticosa, per questo è molto comune, essere vinti dallo scoraggiamento, dalla constatazione di non essere esauditi secondo i desideri, e distratti dalle vicissitudini della vita.

Al giorno d’oggi, poi, la domanda non è solo “come pregare?”, ma anche “perché pregare?”.

  • La cultura nella scienza e nella tecnica, in cui siamo immersi, ci fa credere:
  • che noi uomini siamo capaci di tutto.
  • che per ogni cosa dobbiamo avere una RISPOSTA IMMEDIATA.
  • CHE BASTIAMO A NOI STESSI, E CHE PER IL LIBERO ARBITRIO CHE LUI CHE HA DONATO, SIAMO ESENTATI DAL RIVOLGERCI A LUI.

E va anche riconosciuto che a volte in molti credenti la preghiera:

  • sembra solo il frutto di un’indomabile angoscia,
  • è solo una chiacchiera con Dio,
  • è solo un verbalizzare sentimenti generati dalla nostra devozione e pietà in cerca di garanzia e di meriti per sé stessi.

Mai dobbiamo dimenticare che la preghiera cristiana nasce dall’ascolto della voce del Signore che parla.

Come “la fede nasce dall’ascolto” (Rm 10,17), così anche LA PREGHIERA, CHE È NIENT’ALTRO CHE L’ELOQUENZA DELLA FEDE (ci dice l’epistola di Giacomo 5,15).

Per pregare in modo cristiano, e non come fanno i pagani (“a forza di parole” Mt 6,7), occorre ascoltare, occorre lasciarsi aprire gli orecchi dal Signore che parla e accogliere la sua Parola. E dire “…Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1Sam 3,9).

Non c’è preghiera più alta ed essenziale dell’ascolto del Signore, della sua volontà, del suo amore che mai deve essere meritato.

Una volta avvenuto l’ascolto, la preghiera può divenire “un pensare” davanti a Dio e “un parlare” con Dio.

Ci sono tanti modi di pregare quanti sono i soggetti oranti. E guai a chi pretende di giudicare la preghiera di un altro: il sacerdote Eli giudicava la preghiera di Anna nella dimora di Dio come il borbottio di un’ubriaca, mentre quella era preghiera gradita a Dio e da lui ascoltata (1Sam 1,9-18).

Dunque veramente la preghiera personale è “secretum meum mihi”, e la preghiera liturgica deve ispirarla, ordinarla, illuminarla e renderla sempre più evangelica, come Gesù Cristo l’ha normata.

E la preghiera deve essere poi COSTANTE, INSTANCABILE, CONTINUA.

E Il capitolo 18 di oggi parla proprio di questo e su questo Gesù ci offre un insegnamento, attraverso la parabola parallela a quella dell’amico importuno: la parabola del giudice iniquo e della vedova insistente.

E la parabola del vangelo di oggi, come vedete, è molto suggestiva. In essa incontriamo una vedova povera, ma estremamente insistente, che scomoda un giudice senza morale, offrendoci l’insegnamento dell’importanza di una preghiera costante, che non si stanca.

La controparte è un giudice che non ha riguardo per nessuno, che non temeva né Dio né gli uomini, tanto è discutibile la sua opera.

E la vedova, sola e senza sostentamento, si affida alla preghiera contro ogni speranza, non avendo più niente da perdere, mettendovi dentro tutto il suo sconforto e tutta la sua vita.

L’abisso tra la preghiera da parte della vedova, e l’improbabile esaudimento da parte del giudice, non poteva essere più grande.

Ma l’insistenza assillante della donna infastidisce questo giudice e fa si, che pur di levarsela di torno, perché “le dà tanto fastidio”, le fa giustizia, soprattutto per liberarsi di lei e non essere più importunato. Ma la vedova ottiene ciò che vuole!

E Gesù offre l’insegnamento. E fa notare che anche fra gli uomini una preghiera così insistente, non può mancare di essere esaudita.

A maggior ragione quando è indirizzata a Dio.

Se l’uomo in essa non recede, se si affida completamente a lui, gridando verso di lui, instancabilmente, «giorno e notte», allora Dio si china e ascolta questa preghiera.

La raccomandazione di “pregare senza stancarsi” è un tema biblico molto caro e appare molte volte nel Nuovo Testamento (1 Tess. 5,17 – Rm.12,12 – Ef.6,18).

Ed era una caratteristica della spiritualità delle prime comunità cristiane.

I primi cristiani, infatti, avevano ben impressa nella mente l’immagine di Gesù raccolto in preghiera, in contatto permanente con il Padre.

Infatti, il respiro di Gesù, era fare la volontà del Padre (Gv 5,19). Egli pregava molto ed insisteva, affinché la gente e i suoi discepoli pregassero.

E insegnava loro che solo confrontandosi con Dio, emerge la verità e la persona ritrova sé stessa in tutta la sua realtà ed umiltà. La preghiera rivela qualcosa che va oltre sé stessa, riguarda il nostro modo di vivere, la nostra relazione con Dio, con noi stessi e con il prossimo.

A patto che preghiamo “senza stancarci mai“. Anche se, per la fragilità della nostra natura umana, tutti proviamo momenti di stanchezza e di scoraggiamento, soprattutto quando la nostra preghiera sembra inefficace.

Ma Gesù ci assicura che, a differenza del giudice disonesto, Dio esaudisce prontamente i suoi figli. Anche se lo farà nei tempi e nei modi che lui decide.

Ma vediamo anche un’altra angolazione.

Paragonare Dio a un giudice ingiusto è davvero la massima espressione della libertà con la quale Gesù parla del Padre suo. E la vedova è la sposa di Cristo, ovvero la Chiesa.

La parabola svela l’accusa che in modo sprezzante o in modo accorato l’uomo di ogni tempo, rivolge a Dio “…Lo stolto pensa: “Dio dimentica, nasconde il volto, non vede più nulla”. Sorgi, Signore Dio, alza la tua mano, non dimenticare i poveri. Perché il malvagio disprezza Dio e pensa “…Non ne chiederai conto”?” (Salmo 10).

Certo, ci piacerebbe un dio pronto a esaudire tutti i nostri desideri. Ma questo farebbe inorgoglire ancor di più l’uomo che si arroccherebbe ancor di più, sulla sua presunzione di tutto dominare tutto, e sottomettere qualsiasi cosa ai propri desideri.

In Dio non c’è ritardo o dimenticanza nell’esaudirci. Ma solo una splendida pedagogia divina, che bene si esprime nella domanda finale che Gesù pone ai suoi ascoltatori e a noi “…Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la FEDE sulla terra?”.

È una domanda che a me -uomo notoriamente di poca Fede- FA PAURA.

La fede è un totale atto di adesione, col quale l’uomo consegna il suo cuore al suo Creatore, testimoniando con tale gesto la SUA FIDUCIA TOTALE SOLO IN DIO.

Perché L’UOMO CHE COMPIE QUEL GESTO, DA BENE CHE DIO È FEDELE E MANTIENE LE SUE PROMESSE.

Abramo ne è il prototipo. Infatti è chiamato “il Padre dei credenti”.

Leggendo “TIMORE E TREMORE” di Soreen Kierkegaard, ci si rende conto che la FEDE vera è appunto il “movimento” con il quale l’uomo STA RESPONSABILMENTE DAVANTI A DIO e che proprio il dolore della prova a cui è sottoposto che rende l’uomo un interlocutore alla pari con Dio che “…li ha provati come l’oro nel crogiolo e li ha trovati degni di sé” (dice il Libro della Sapienza 3,5-6).

Auschwitz è stato, per il popolo d’Israele, la replica del monte Moria, sul quale ad Abramo è stato richiesto di sacrificare il figlio. E noi purtroppo ben sappiamo che molti internati, lì, umanamente, hanno perduto la fede.

Questo evidenzia il fatto che siamo chiamati a prepararci alla prova.

E neppure ci si deve illudere sulla “razionalità” della storia, che razionale non lo è affatto: Hegel ha trovato la sua smentita a Verdun, sul Carso, ad Auschwitz e a Hiroshima, in Vietnam, in Laos, in Cambogia, ma anche a Srebrenica e nelle foreste del Congo. E ancora in Kosovo, in Iraq, in Afganistan, in Siria e Dio solo sa ancora dove.

Certamente anche la storia dev’essere correttamente interpretata.

Ma non ci si deve scordare del “mistero d’iniquitàche è all’opera nel mondo (2 Tessalonicesi 2,7). E che farvi fronte, in questo mondo è necessario che il sangue di Dio venga versato per l’uomo.

E dobbiamo capire che paradossalmente aveva ragione Nietzsche, quando diceva che è necessario CHE DIO MUOIA perché l’uomo viva.

LA PREGHIERA DIVENTA ALLORA IL SOLO STRUMENTO DI CUI L’UOMO DISPONE NELLA PROVA E NELLA SOFFERENZA, MA ANCHE NELLA LODE PER LA RITROVATA GIOIA.

Dobbiamo ricordare sempre che chi prega non cede al cinismo rassegnato di chi pensa che le cose andranno come sono sempre andate, cioè male. E che quindi è inutile lottare.

La preghiera invece ci riporta all’oggi, al dovere quotidiano, CHE ABBIAMO COMPIUTO NELLA FEDELTÀ, MA ANCHE NELLA SPERANZA E NELLA CERTEZZA che “il Signore veglia sul cammino dei giusti”, che “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”, che il Drago dell’Apocalisse viene vinto dai figli della Donna “grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro testimonianza, e non hanno amato la loro vita fino a morire (Libro dell’Apocalisse 12,11).

E per finire, vorrei dire che questa è l’unica parabola, fra le tante raccontate da Gesù, che termina con una domanda.

In mezzo alle mille domande che rivolgiamo a Dio, ve n’è anche qualcuna che Dio rivolge a noi. Ne troviamo una molto seria all’inizio della Bibbia: «Dio chiamò l’uomo e gli disse “…Dove sei?» (Gen. 3,9), dove ti sei nascosto, dove stai fuggendo?

Da sempre siamo in fuga da Dio. Non vogliamo fare i conti con lui, e quindi neppure con noi stessi. E quella domanda: «Dove sei?» vuole porre fine alla nostra fuga.

Poi ne troviamo una seconda, rivolta da Dio a Giobbe insieme a tante altre «…dove eri tu quando io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza!» (Giob. 38,4).

Con questa domanda Dio ci invita a riflettere su noi stessi e a chiederci se siamo ancora consapevoli della differenza che c’è tra l’uomo e Dio, tra il Creatore e la creatura, tra il cielo e la terra («Dio è in cielo e tu sei sulla terra», Ecclesiaste 5,2), o se invece, avendo perso il senso di quella misura e di quel confine, abbiamo perso il senso di ogni misura e di ogni confine: confondiamo l’uomo con Dio, il bene col male, la verità con la menzogna, la vita con la morte.

Oggi Dio ci fa una nuova, ulteriore, preoccupante, domanda «…QUANDO IL FIGLIO DELL’UOMO VERRÀ, TROVERÀ LA FEDE SULLA TERRA?».

Non ci chiede se troverà:

  • la religione o le religioni
  • la Chiesa o le chiese
  • la giustizia
  • la pace
  • la fraternità
  • …L’AMORE

E noi, al suo posto, chiederemmo se troveremo l’amore, che forse è la prima cosa, dato che Gesù stesso aveva riassunto tutta la Legge e i Profeti nell’unico comandamento dell’amore – amore di Dio e amore del prossimo.

E c’è anche un’altra cosa che mi rattrista. Gesù ha anche previsto che, negli ultimi giorni, «per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà» (Mt. 24,12), cioè tenderà a scomparire, perché un amore freddo è un amore morto.

Perciò la domanda se il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la FEDE, significa che il Signore vede in essa la radice della vita, la sorgente dell’amore, la ragion d’essere della Chiesa e di ogni religione, la madre di tutte le cose.

Gesù mette la fede al primo posto COME MEZZO DI SALVEZZA. Infatti ben sapete che tante volte ha detto «… va la tua fede ti ha salvato».

Così la pensava anche il profeta Isaia «…se non avete fede, certo non potrete sussistere» (Is. 7,9).

Il dramma del nostro tempo, l’opera urgente di conversione che siamo chiamati a compiere è il recupero della fede ormai diventata stanca abitudine, innocua e vaga appartenenza.

Quella fede che brucia, che forgia i santi, che spinge i martiri a donare il proprio sangue langue nelle nostre comunità.

Quella fede di sapere che Dio è giusto, che è un padre che ascolta e accoglie, che non un despota annoiato, che non sa che farsene di noi.

Quella fede di chi vede un ALTRO mondo nascosto nelle pieghe di questo vecchio mondo dolente.

Quella fede di chi sa che ogni gesto compiuto nel nome del Signore risorto ci trasforma la vita concreta.

Il Regno avanza, ne facciamo parte, lo costruiamo nella quotidianità.

Siamo noi a rendere possibile che la Fede non smetta mai di esistere in questo mondo.

Teniamo duro, allora, come la vedova cocciuta della parabola.

Perché così facendo, allora possiamo con verità dire al Signore: “sì, o mio Signore… quando tornerai ci sarà ancora la fede in te, o Dio unico, in tre Persone, separate e distinte.

Tertulliano, fondatore della letteratura cristiana occidentale nel testo “De oratione 28, 3-4”, che si trova nella sua opera “sulla preghiera” (il primo trattato patristico su questo tema), descrive la preghiera cristiana con alcune pennellate che la caratterizzano e la contraddistinguono dalla “superstizione” pagana:

  • «Offriamo la nostra preghiera a Dio come ostia a lui gradita e accetta: offerta con tutto il cuore, nutrita dalla fede, curata dalla verità, integra per l’innocenza, pura per la castità, coronata dall’amore, accompagnata dal corteo delle opere buone»

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!