MERCOLEDI’ XXVI^ SETTIMANA T.O. 06/10/2021– Luca 11,1-4 “…et ne nos inducas in tentationem”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Luca 11,1-4

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione» Parola del Signore

 

Mediti…AMO

San Luca ha posto l’insegnamento di Gesù, non su una collina, durante il discorso inaugurale di Gesù, come fa Matteo (Mt 5,1-7,29), ma sulla strada per Gerusalemme (Lc 9,51-19, 46), dopo aver lui stesso pregato (Lc 10,21-22) e dopo aver lodato Maria di Betania per aver scelto “l’unica cosa necessaria” (Lc 10,42).

Nel contesto odierno vediamo che un discepolo chiede a Gesù, dopo averlo visto preare: “Insegna anche a noi a pregare”!

Per arrivare a chiederglielo chissà quanto l’avrà osservato mentre pregava, come sarà rimasto affascinato nel vederlo in relazione con il Padre. Gesù accoglie questa richiesta e introduce i discepoli nel suo dialogo con l'”Abbà“. Gesù è l’unico a conoscere il linguaggio del Padre, perché Egli è il Verbo eterno.

Il poter chiamare Dio “Padre” è il grande dono che Gesù ci ha fatto. La preghiera di Gesù, che Egli ci ha consegnato, ci svela e ci apre la grande verità di essere in Dio, grazie a Lui, figli, perciò di conoscere e accettare la paternità di Dio e la nostra conseguente fraternità.

La parola Abbà, contiene tutto l’affetto del figlio verso il papà: questo è il cuore della vita cristiana. Dio mi è Padre sempre, mi ama e mi genera continuamente.

Mettendo questo episodio dopo aver lodato Maria di Betania per aver scelto “l’unica cosa necessaria” (Lc 10,42), Gesù realizza ciò che insegna e insegna ciò che fa: se l’unica cosa necessaria è quella di ascoltare Dio, questa è la prima cosa da fare.

E insegnando ai suoi discepoli a pregare ha trasformato la preghiera IN UN ELEMENTO INTEGRANTE DELLA SEQUELA.

Siamo affascinati dall’intimo rapporto che Gesù ha con il Padre, i discepoli lo hanno seguito mentre di notte si ritirava in solitudine e stava in lungo colloquio con Dio.

Per Gesù era un atto di intimità estremamente fondante e necessario.

Nel Vangelo di Luca si trovano molti passi in cui Gesù si rivolge direttamente a Dio semplicemente con questa breve parola: «Padre!» (in aramaico “Abbà“). Ne scelgo solo tre

  1. «Padre, ti ringrazio» (Lc 10,21);
  2. «Padre, sia fatta la tua volontà (22,42);
  3. «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46)…

In tal modo Gesù insegna anche a noi il modo di poterci rivolgere a Dio con Lui, chiamandolo «Padre!».

Questa è una GRAZIA che deve riempirci continuamente il cuore di gioia e di stupore, in ogni istante della nostra vita: IL FIGLIO UNICO DEL PADRE HA VOLUTO CHE NOI FOSSIMO INSIEME CON LUI FIGLI DELLO STESSO PADRE, in modo da condurre pure noi a rivolgerci a Dio con lo stesso grido filiale «…Padre!».

San Giovanni, nella sua prima lettera, esclama estasiato «Quale grande dono ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3,1).

Certo ogni discepolo era avviato alla vita di preghiera, recitava le benedizioni del mattino e frequentava la sinagoga e il tempio.

E, il pio ebreo, era confortato dalle parole di un antico orante diceva “…L’uomo che non ha ogni giorno un tempo per sé stesso nel respiro della preghiera non è uomo“.

Ma Gesù insegna una preghiera completamente nuova, intima, inserita in una relazione famigliare con Dio che nessuno mai si sarebbe aspettato.

Ed è per questo che i discepoli chiedono di essere introdotti a questo modo unico di pregare. E GESÙ LI ACCONTENTA E CONSEGNA LORO IL PADRE NOSTRO, LA PREGHIERA DEI FIGLI. Una preghiera succinta, essenziale, con pochissime richieste, ma fatta nella consapevolezza che Dio è un Padre che ci ama, e che ci assicura la sua presenza in mezzo a noi.

Gli apostoli sono rimasti colpiti dalla qualità della preghiera del Maestro. Certo, anche loro pregano, come fa ogni pio israelita. Pregano al mattino, con le benedizioni e lo Shemà, pregano il giorno di sabato, ascoltando la lettura e il commento della Torah.

Così come fa Gesù.

Ma ciò che manca a loro, e a noi, è la preghiera segreta di Gesù che si ritira in disparte, anche di notte. Quei lunghi tempi che dedica al silenzio. La preghiera che punteggia ogni momento della giornata del Maestro, che sembra interpretare ogni evento. Una preghiera che diventa lode, ringraziamento, supplica, intercessione.

Un modo assolutamente nuovo e inatteso di concepire la preghiera, non più solo comunitario e sociale, né tantomeno solo momento di legittima richiesta di vedere esaudite le proprie necessità.

E noi, viatori nel tempo, siamo anche affascinati da chi, come i monaci, vive la preghiera come dimensione quotidiana e continua. Perché ci indicano un mondo altro.

E siamo chiamati per onestà, a fare pubblica ammenda: NOI non sappiamo pregare.

Non sappiamo fare altro che balbettare qualche richiesta (a volte sfrontatamente) al Signore, poco convinti di ciò che chiediamo, convinti erroneamente che la preghiera si riduca ad una richiesta.

Non è così, Fratelli e Sorelle, guardiamo il Maestro e ci accorgiamo che la preghiera, intimo dialogo con Dio, è anche ringraziamento, lode, intercessione, richiesta di perdono… E io mi vergogno, quando mi accorgo di quanto sia piccina la mia povera e misera preghiera, senza orizzonti, senza respiro, né fede.

Noi non sappiamo pregare. Lo dice chiaramente San Paolo quando scrive ai romani “…nemmeno sappiamo cosa sia conveniente domandare” (Rm 8,27). Per fortuna “…lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza e intercede per i credenti secondo i disegni di Dio“.

Diceva un santo sacerdote napoletano, don Dolindo Ruotolo, che la migliore preghiera è “Gesù, pensaci tu“.

Vivere nella santa volontà di Dio, dovrebbe essere la santa aspirazione di ogni uomo, che in tal modo riconoscerebbe di essere Sua amata Creatura. Ben lo aveva compreso un grande Padre della Chiesa, Vescovo e Martire, SANT’IGNAZIO DI ANTIOCHIA, che nella sua Lettera ai Romani, al n.72 ci lascia una pagina indelebile di purissima Fede cristiana, modellata nella vita in Cristo:

Dalla «Lettera ai Romani» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire (Capp. 6, 1-9, 3), contenuta nel codice Parigino greco 1451 (risalente ai secoli X-XI), dov’è incorporata nello scritto intitolato Martirio di Ignazio.

A nulla mi gioveranno le attrattive del mondo né i regni di questa terra. È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra. Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. È vicino il momento della mia nascita.

Abbiate compassione di me, fratelli: non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio.

Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all’angoscia che mi opprime.

Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Nessuno di quanti si troverà nel luogo gli dia mano; aiutate piuttosto la mia causa, cioè quella di Dio.

Non siate di quelli che professano Gesù Cristo e amano il mondo. Non trovi posto in voi l’invidia. Anche se vi supplicassi, quando sarò tra voi, non datemi ascolto. Credete piuttosto a quel che vi scrivo ora, nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.

Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me fiamma alcuna per la materia, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre. Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di Davide, voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile.

Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con tutta semplicità, credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero.

Egli è la bocca veritiera per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo con mire umane, ma secondo il volere di Dio. Se soffrirò, vorrà dire che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, è segno che mi avete odiato.

Ricordatevi nelle vostre preghiere della chiesa di Siria, che ha Dio come pastore al posto mio. Solo Gesù Cristo la governerà come vescovo, e la vostra carità. Io mi vergogno di dirmi membro di quella comunità. Non ne sono degno, perché sono l’ultimo di tutti e come un aborto. Ma otterrò per misericordia d’essere qualcuno se raggiungerò Dio.

Vi saluta il mio spirito e la carità delle chiese, che mi hanno accolto nel nome di Gesù Cristo, e non come un semplice pellegrino. Vi salutano pure quelle chiese che, pur essendo fuori del mio itinerario, pur di potermi vedere, mi precedevano nelle città per le quali passavo”.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!