MARTEDI’ 02.11.2021 COMMEMORAZIONE FEDELI DEFUNTI – Gv 6,37-40 “…Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Giovanni 6,37-40

In quel tempo, Gesù disse alla folla «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Oggi, la Chiesa ci invita, attraverso questa liturgia in MEMORIA DEI FEDELI DEFUNTI, a pregare per coloro che sono ancora in Purgatorio e che hanno bisogno della nostra intercessione.

Di fronte al mistero della morte, che è un mistero di dolore e di angoscia, LA PAROLA DI GESÙ ILLUMINA LA NOSTRA SPERANZA E CI AIUTA A STARE SENZA TIMORE DI FRONTE ALLA MORTE, consapevoli che la volontà del Padre onnipotente si compirà per noi, solo se abbiamo fede nel Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo.

Questo è ciò che mettiamo in rilievo in questo giorno in cui la Chiesa fa memoria di tutti i fedeli defunti. Li ricordiamo non travolti dalla nostalgia, ma fiduciosi che questa volontà di Dio si possa compiere per tutti noi.

In questo giorno la preghiera della Chiesa che si estende non solo in ogni parte della terra, ma anche in ogni tempo, fa memoria di ogni fratello o sorella, SOPRATTUTTO PER COLORO CHE SONO MORTI NELL’INDIFFERENZA DI TUTTI, DI QUELLI CHE NESSUNO RICORDA PIU’.

E lo facciamo con un grande aiuto che la chiesa ci dà. Questo giorno infatti è illuminato dalla luce della solennità di “OGNISSANTI”, nota anche come “TUTTI I SANTI”, che abbiamo celebrato ieri.

Questo ci dà modo di potere affrontare con serenità il giorno del ricordo DEI FEDELI DEFUNTI.

Gesù, vincitore del peccato e della morte, ci fornisce la giusta interpretazione della morte: dal giorno del nostro concepimento siamo stati dotati di un’anima immortale, quella che conduce la nostra vita, le nostre scelte, quella che ci insegna a sognare e a cercare Dio.

Quest’anima, nel momento della nostra morte raggiunge direttamente Dio che, come ci ha svelato Gesù, ha un unico desiderio: quello di salvarci.

Ma Dio rispetta anche il nostro rifiuto assoluto. E, se decidiamo di non avere a che fare con lui, ci lascia nelle tenebre oppure, se vede che ancora non siamo pronti alla luce, ci aiuta in un percorso di ulteriore conversione all’amore.

La nostra preghiera per i defunti non serve a convincere Dio a fare un’amnistia, ma a sostenere con l’affetto l’anima del nostro fratello a continuare senza indugio il cammino di purificazione interiore che ha iniziato.

La morte sta alla vita come il seme sta al fiore che cresce e fiorisce!

Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distruggerà la morte e gli saranno sottomesse tutte le cose:

  • alcuni di noi saranno ancora pellegrini su questa terra,
  • altri che sono passati da questa vita staranno ancora purificandosi,
  • altri infine godono già della gloria contemplando Dio.

Ma tra tutti esiste un “filo d’oro”, ovvero TUTTI COMUNICHIAMO NELLA STESSA CARITÀ DI DIO.

L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali (ci illumina il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione dommatica sulla Chiesa «Lumen gentium», al n.49).

La Chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi (L.G. n.50).

NEI RITI FUNEBRI LA CHIESA CELEBRA CON FEDE IL MISTERO PASQUALE, NELLA CERTEZZA CHE QUANTI SONO DIVENTATI CON IL BATTESIMO MEMBRI DEL CRISTO CROCIFISSO E RISORTO, ATTRAVERSO LA MORTE, PASSANO CON LUI ALLA VITA SENZA FINE. (ci dice il Rito delle esequie, al n.1).

Si iniziò a celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec. XIV.

In questo giorno siamo invitati a considerare la brevità del nostro tempo perché guardando alla nostra morte, siamo chiamati a vivere appieno il nostro tempo nella continua ricerca della volontà di Dio.

Se si vive una volta sola, occorre fare in modo che le nostre azioni abbiano una grossa eco per coloro che restano e abbiano valore di eternità.

Del resto anche la Scrittura ammonisce che “…è stabilito per gli omini di morire una volta sola, dopo di che viene il giudizio“(Eb 9, 27) e per ciò stesso occorre che viviamo il presente in modo che esso lasci le sue impronte per l’eternità.

Dobbiamo vivere allora il presente in modo da guadagnare l’eternità, in modo che la vita non finisca ma si prolunghi in quella dimensione conforme alla promessa di Dio che si chiama Gerusalemme celeste…

Come ebbe a dire Bonhoeffer un istante prima che i colpi d’arma da fuoco gli perforassero il cuore nel lager nazista “E’ la fine… ma per me è l’inizio della vita“.

La fede e la speranza in Cristo che siamo chiamati a trasformare in carità operosa e disinvolta sono pegno di immortalità già in questa vita.

Chi vive in Cristo, anche se muore fisicamente una volta sola, è destinato a vivere per sempre, secondo la sua stessa morte e risurrezione, che viene concessa anche a noi grazie alla sua promessa “Io sono la via, la verità e la vita.”

In ragione di questo adesso ci troviamo a riflettere sul destino di coloro che ci hanno preceduto e che non hanno ancora raggiunto, a differenza dei Santi, la dimensione di gloria definitiva.

Non possiamo esimerci dal considerare la realtà di quanti hanno preferito escludere Dio dalla propria vita e si sono ostinati nel peccato.

Costoro hanno deliberatamente scelto di autoescludersi dalla Vita del Risorto per autocondannarsi a quella pena conseguente di eterna privazione di Dio che chiamiamo Inferno.

Si sono ostinati a voler voluto vivere da morti, questa vita terrena. Ma non dobbiamo mai dimenticare, Fratelli e Sorelle, che l’amore di Dio non tiene conto del nostro peccato.

E se Cristo suo Figlio, una volta spirato sulla croce, ha saputo riscattare dalla morte coloro che non avevano creduto ed erano prigionieri negli inferi (1Pt 3,18-20) nella sua estrema bontà e condiscendenza, ha il potere di preservarci dalla pena anche dopo la morte.

Ciononostante non possiamo negare l’esistenza di questa realtà triste e ottenebrante peraltro attestata dalle Scritture.

Possiamo tuttavia pregare e confidare che i nostri defunti possano salvarsi ancora “come passando attraverso un fuoco” (1Cor 3, 15), cioè avvalendosi di una possibilità di purificazione ultraterrena nella quale poter estinguere i residuati di colpa per poi essere mondi e puri e in grado di poter accedere alla gloria definitiva.

Fra Inferno e Paradiso vi è una dimensione intermedia che consente alle anime dei nostri cari di fare ulteriore esperienza dell’amore del Signore che tutto dispone affinché si possano ottenere le condizioni di salvezza anche al di là della propria morte.

Ad eccezione di coloro che consideriamo Santi, difficilmente l’uomo è in grado di trovarsi al momento della morte talmente incontaminato da essere “idoneo” alla gloria paradisiaca e nonostante gli strumenti di grazia sussistenti in questa vita, è inevitabile che si giunga al termine dell’esistenza terrena con deplorevoli macchie di peccato.

Ma la misericordia Dio, che non sarebbe tale se così non avesse agito, ha predisposto il Purgatorio perché da questa situazione di impurità ci si possa liberare in modo da poter guadagnare la salvezza nonostante le nostre imperfezioni e proprio questo è il significato della nostra presenza odierna nelle chiese e nei cimiteri.

Poter concedere loro la nostra preghiera è anzi un ulteriore beneficio che Dio stesso concede anche a noi, perché possiamo consentire ai nostri cari di estinguere con maggiore costanza e speditezza le loro pene purgatoriali ottenendo così che al più presto raggiungano la gloria eterna. Facendo cosi della morte la piena vita.

“Perché chiunque abbia la vita eterna…”

Nessuno di noi conosce con certezza la sorte dei propri cari dopo la loro morte.

Sappiamo però che tutti subiscono e noi subiremo il giudizio di Dio che in modo inappellabile segnerà la nostra sorte.

E nonostante la misericordia di Dio, abbiamo il fondato timore, per le inevitabili umane fragilità, che prima di entrare nella gloria dei santi, sia necessario un periodo, più o meno lungo, di purificazione nel Purgatorio.

Mentre le anime purganti più nulla possono fare per sé stesse, essendo concluso per loro il tempo della prova, la chiesa professa e insegna che possiamo suffragare le loro anime, con le nostre preghiere, con i nostri sacrifici e soprattutto affidandole a Cristo redentore, quando ripete il suo sacrificio nella santa Messa.

È sorta così la pia consuetudine di antichissima origine e comune a molte religioni, di pregare per i defunti.

Molti buoni fedeli, non mancano di fare e chiedere suffragi per i propri cari, implorando per loro un particolare ricordo nella celebrazione eucaristica.

Alcuni cercano di lucrare indulgenze da offrire sempre in suffragio dei defunti.

Sono però praticamente innumerevoli le cosiddette anime dimenticate, quelle per cui nessuno prega in particolare, anche se sappiamo bene, che la Chiesa incessantemente, in ogni celebrazione, implora misericordia e pietà per tutti i defunti.

L’invito alla preghiera, di conseguenza, è l’unico modo valido di dare suffragio alle anime dei trapassati. A nulla giovano infatti, le cure esteriori alle tombe con bei ornamenti, che servono solo ad appagare il nostro occhio, ma a nulla giovano alle anime dei nostri cari.

La fede infatti ci illumina e ci fa credere che lì riposano sole le misere spoglie mortali in preda alla corruzione, la loro anima vive ormai in un’altra dimensione.

Ci sia di ulteriore sprone il pensiero che se per le nostre preghiere le anime purganti giungono in Paradiso. Una volta avvenuto ciò, ESSI DIVENTANO PER NOI INTERCESSORI PRESSO DIO.

Non possiamo infatti dubitare che ci ricambieranno abbondantemente il favore che abbiamo loro fatto.

Ma dobbiamo fare anche una riflessione “adulta” nella Fede:

La prima cosa su cui dobbiamo soffermarci è una verità che può disorientarci: LA MORTE IN REALTÀ NON ESISTE: le anime dei nostri defunti sono vive!

Infatti, se sono in Purgatorio significa che sono in vita.

Per noi è molto difficile concepire questa verità, convincerci che in realtà non c’è la morte, ma solo un cambiamento di situazione.

Magari, noi vorremmo che queste persone continuassero a vivere su questa terra la vita che noi sperimentiamo essere una contraddizione, una fatica, una valle di lacrime …

Noi continuamente, dalla mattina alla sera, sperimentiamo che la vita non la possediamo, che manca qualche cosa …

Eppure, nessuno se ne vuole andare da questo mondo…

Per questo è importante interiorizzare questa verità, in modo che quando capiterà a noi siamo pronti, o quando avremo modo di parlare con persone che si affliggono, possiamo trovare le parole giuste per confortarle in modo sincero.

LA MORTE NON ESISTE. ESISTONO DEGLI STADI DI VITA DIVERSI

Allora, celebrare l’Eucarestia in memoria di tutti defunti vuol dire celebrare la Vita.

E nella celebrazione di questa Vita, esortiamoci insieme e individualmente a vivere nel miglior modo possibile quest’esistenza.

Perché, se ci riflettiamo attentamente, si tratta della stessa vita che continua: quello che non facciamo adesso lo dovremo fare dopo, non c’è scampo!

O viviamo nella sofferenza, nella “morte” spirituale e psicologica, o viviamo nella “vita”.

Gesù è venuto nel mondo per liberarci, lo ricorda molto bene San Paolo, quando distingue opportunamente la riconciliazione dalla salvezza:

Se quando eravamo nemici siamo stati riconciliati” – che significa perdonati, accolti, introdotti nell’amicizia con Dio – “per mezzo della morte e della resurrezione di Gesù”, (vedete come il ruolo della “morte” sia quello di dare vita: così se moriamo ai nostri peccati ci doniamo la vita, se moriamo al nostro individualismo ci doniamo vita…) “ora che siamo riconciliati saremo salvati”.

La salvezza, dunque, non è solamente essere in comunione con Dio e la nostra vita religiosa non consiste nel cercare l’amicizia di Dio, perché ce l’abbiamo già a priori: SIAMO FIGLI NEL FIGLIO!

Ma dobbiamo CREDERE, AVER FEDE E FARE OPERE DI MISERICORDIA, per essere liberati da tutto ciò che ci impedisce di vivere questa vita piena che Gesù vuole donarci, che il Padre ha pensato per noi quando ci ha creati e ci ha messi in un giardino originario pieno di delizie …questa è la vita che ha pensato per ognuno di noi.

Ma nella sua Infinita Misericordia, Dio, in Cristo, per la potenza dello Spirito Santo ci offre di tornare con Lui, non nell’eden, ma in un giardino ancora più bello: quello celeste, che è costituito dalla Gerusalemme del Cielo: questa è la meta della nostra esistenza.

Ed è in funzione di questa meta che dobbiamo vivere tutto, il bene e il male, il dolce e l’amaro, il buio e la luce…

Altrimenti, non ci andiamo, perché i pericoli della vita sono tanti.

E la Scrittura ci mette in guardia “…il diavolo come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1Pt 5,8).

Ma noi abbiamo il conforto della Parola eterna di Dio:

  • e facciamo nostre le parole del salmo 27 “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura? Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita”.
  • il grido accorato di Giobbe “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro“.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!