LUNEDI’ XXIX^ SETTIMANA T.O. SAN LUCA -18.10.2021- – Luca 10,1-3 “… è vicino a voi il regno di Dio”

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA….

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Dal Vangelo secondo Luca 10,1-3

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro “È vicino a voi il regno di Dio”». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO

L’evangelista Luca può esserci particolarmente caro perché è l’evangelista della Madonna.

Solo da lui ci sono state tramandate l’annunciazione, la visitazione, le scene del Natale, della presentazione al tempio di Gesù.

E SI PUÒ ANCHE DIRE L’EVANGELISTA DEL CUORE DI GESÙ, perché è Luca che ci rivela meglio la sua misericordia: è l’evangelista della parabola del figlio prodigo un tesoro che troviamo soltanto nel suo Vangelo, della dramma perduta e ritrovata.

È L’EVANGELISTA DELLA CARITÀ:

  • lui solo ci racconta la parabola del buon samaritano,
  • e parla dell’amore di Gesù per i poveri con accenti più teneri degli altri:
    • ci presenta il Signore che si commuove davanti al dolore della vedova di Nain;
    • che accoglie la peccatrice in casa di Simone il fariseo con tanta delicatezza e le assicura il perdono di Dio;
    • che accoglie Zaccheo con tanta bontà da cambiare il suo esoso cuore di pubblicano in un cuore pentito e generoso.

LUCA, È ANCHE L’AUTORE DEL LIBRO DEGLI “ATTI DEGLI APOSTOLI”, Dante lo ha definito LO «SCRIBA MANSUETUDINIS CHRISTI», ovvero LO «SCRIBA DELLA MANSUETUDINE DI CRISTO», perché nel suo Vangelo prevalgono immagini di mitezza, di gioia e di amore.

Luca ha studiato, è medico, e tra gli evangelisti è l’unico non ebreo. Forse viene da Antiochia di Siria (oggi Antakya, in Turchia).

Era un convertito, un ex pagano, che Paolo di Tarso si associa nell’apostolato, chiamandolo “compagno di lavoro” (Lettera a Filemone 24) e indicandolo nella Lettera ai Colossesi come “caro medico” (4,14).

Il medico segue Paolo dappertutto, anche in prigionia: due volte. E la seconda, mentre in un duro carcere attende il supplizio, Paolo scrive a Timoteo che ormai tutti lo hanno abbandonato. Meno uno. “Solo Luca è con me” (2 Lettera a Timoteo 4,11). E questa è l’ultima notizia certa dell’evangelista.

Luca scrive il suo vangelo per i cristiani venuti dal paganesimo. Non ha mai visto Gesù, e si basa sui testimoni diretti, tra cui probabilmente alcune donne, fra le prime che risposero all’annuncio.

C’è un’ampia presenza femminile nel suo vangelo, cominciando naturalmente dalla Madre di Gesù: Luca è attento alle sue parole, ai suoi gesti, ai suoi silenzi.

Di Gesù sottolinea la stupenda misericordia, e quella forza che uscendo da lui “sanava tutti“: tanto da rendere Gesù “medico universale”, chino su tutte le sofferenze dell’uomo.

Luca deve essere rimasto profondamente colpito e ammirato dal volto misericordioso e compassionevole del Dio predicato da Gesù.

E questa misericordia emerge in tutta la vita di Luca e nel suo splendido vangelo…

GESÙ ONNIPOTENTE E “MANSUETO” COME LO CREDEVA DANTE NELLE PAROLE DI LUCA.

Gli Atti degli Apostoli raccontano il primo espandersi della Chiesa cristiana fuori di Palestina, con i problemi e i traumi di questa universalizzazione.

Nella seconda parte è dominante l’attività apostolica di Paolo, dall’Asia all’Europa; e qui Luca si mostra attraente narratore quando descrive il viaggio, la tempesta, il naufragio, le buone accoglienze e le persecuzioni, i tumulti e le dispute, gli arresti, dal porto di Cesarea Marittima fino a Roma e alle sue carceri.

Secondo un’antica leggenda, Luca sarebbe stato anche pittore e, in particolare, autore di numerosi ritratti della Madonna.

Altre leggende dicono che, dopo la morte di Paolo, egli sarebbe andato a predicare fuori Roma; e si parla di molti luoghi. Di troppi. In realtà, nulla sappiamo di lui dopo le parole di Paolo a Timoteo dal carcere.

Ma il vangelo di Luca continua a essere annunciato insieme a quelli di Matteo, Marco e Giovanni in tutto il mondo. E con esso anche gli Atti degli Apostoli. Nella liturgia della Parola, durante la Messa e in tutte le lingue, Luca continua davvero a predicare; anche ai nostri giorni, incessantemente.

E il suo vangelo, che pone in luce l’universalità della salvezza e la predilezione di Cristo verso i poveri, offre testimonianze originali come il vangelo dell’infanzia, le parabole della misericordia e annotazioni che ne riflettono la sensibilità verso i malati e i sofferenti.

Nel libro degli Atti delinea la figura ideale della Chiesa, perseverante nell’insegnamento degli Apostoli, nella comunione di carità, nella frazione del pane e nelle preghiere.

È dunque l’evangelista della fiducia, della pace, della gioia; in una parola possiamo dire che è l’evangelista dello Spirito Santo.

Negli Atti degli Apostoli è lui che ha trovato la formula tanto cara alle comunità cristiane “formare un cuor solo e un’anima sola“, che è ripresa anche dall’orazione della Colletta di oggi:

  • Signore Dio nostro, che hai scelto san Luca per rivelare al mondo il mistero della tua predilezione per i poveri, fa’ che i cristiani formino un cuor solo e un’anima sola, e tutti i popoli vedano la tua salvezza“.

E la comunità cristiana, fondata sull’amore di Gesù e anche sull’amore alla povertà: solo persone non attaccate ai beni terreni per amore del Signore possono formare un cuor solo e un’anima sola.

Il Vangelo di san Luca lo rivela pieno di zelo. Soltanto lui riporta l’invio in missione dei settantadue discepoli (gli esegeti pensano che questo sia un numero simbolico e rappresenti le settantadue nazioni dell’universo) e alcuni particolari di questa missione “Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi“.

SAN GREGORIO spiega “Bisogna che i discepoli siano messaggeri della carità di Cristo. Se non sono almeno due la carità non è possibile, perché essa non si esercita verso sé stessi, ma è amore per l’altro“.

Ci sono dunque molti tesori nell’opera di san Luca e noi possiamo attingervi con riconoscenza, non dimenticando l’aspetto che l’evangelista sottolinea maggiormente: DARCI TUTTI AL SIGNORE, ESSERE SUOI DISCEPOLI PRONTI A PORTARE LA CROCE OGNI GIORNO CON LUI.

Nulla di certo si sa della morte di Luca. Addirittura non si conosce sicuramente se egli abbia terminato la propria esistenza terrena con una morte naturale oppure come martire appeso ad un olivo. Ovviamente ignoto è il luogo della prima sepoltura.

Vi sono tre città soprattutto che si appellano ad una tradizione di traslazione del corpo dell’evangelista: Costantinopoli, Padova e Venezia.

Sono città quindi intorno alle quali e dalle quali si diffuse il suo culto. Recentissimi studi avrebbero dimostrato che sue sono le spoglie mortali, eccezione fatta per il capo, conservate a Padova nella basilica benedettina di Santa Giustina.

Nella città veneta sarebbero giunte per sottrarle alla distruzione degli iconoclasti e là già nel XIV secolo fu per loro costruita una cappella ed un’Arca, detta appunto di San Luca.

II simbolo di San Luca evangelista è il vitello, animale sacrificale.

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

«Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi», dice Gesù nel capitolo del discorso missionario del terzo evangelista. Vuol significare quella consapevolezza che il discepolo deve considerare in ordine alla missione che spesso gli viene affidata, che umanamente è impossibile e rischiosa.

Agnelli in mezzo ai lupi… ecco la metafora. In mezzo ai pericoli il cristiano non deve nascondersi, né cambiare natura, ma candidamente, DEVE CONTINUARE AD ANNUNCIARE CRISTO E QUESTI CROCIFISSO, MORTO E RISORTO.

E deve farlo con quella convinzione e quella serenità di chi ha la mente, gli occhi e il cuore, fissi sulle cose del cielo. Perché quando siamo in quello stato, siamo meno propensi a preoccuparci di cosa mangiare o cosa bere, accontentandoci di quello che la Provvidenza ci fa avere.

Con gli occhi fissi sul Signore, lasciamo che sia Egli a plasmarci, e siamo meno suggestionati dal terrore di non piacere agli altri e di corrispondere alle attese di tutti.

Con gli orecchi tesi a captare i suoi discorsi, diventiamo più sensibili nella comunicazione con l’altro, perché non siamo storditi dai richiami rumorosi delle nostre passioni.

Con le mani giunte per pregare, siamo più liberi per allargarle e tenderle con vigore verso il vicino che ha bisogno di essere rialzato e così facendo iniziamo a realizzare il regno di Dio, già qui in terra.

Un regno che deve abbracciare ogni uomo che vive sulla terra. Nessuno potrà mai pensare di bastare da solo.

Neanche Gesù, Dio e Figlio di Dio, da solo basta.

Per questo ognuno che costruisce il regno di Dio, deve chiedere al Padre celeste con preghiera incessante che mandi operai per la sua messe.

Fratelli e Sorelle, ricordatevi che, NON PREGA CHI NON COSTRUISCE IL REGNO DI DIO.

Ma lo realizza chi vede la vastità del lavoro da svolgere, ogni giorno, e con l’amore e con una preghiera accorata chiede al Signore che mandi altri operai. E deve essere un amore ardente come un fuoco che consuma chi lo porta.

Affinché questo amore donato risplenda come Pace di casa in casa, condividendo la vita, restituendo la dignità di un lavoro ben fatto, del tempo passato insieme per conoscersi, per comunicare, per dire, nella vicinanza di tutti i giorni, che nei gesti di carità rende concreto il regno di Dio, che in tal modo è davvero vicino.

E QUESTA RETTA PREGHIERA FATTA PER IL REGNO ATTESTA E RIVELA LA VERITÀ DELLA NOSTRA VITA.

Ma badate bene… se lavoriamo per noi stessi, nessuna preghiera sarà mai fatta e siamo dei miserabili, perché, così facendo, bastiamo solo a noi stessi…

Cerchiamo anche di vedere qualcosa di più di questa missione, prima dei “12” e poi dei “72” discepoli.

Luca ci racconta la missione del gruppo più numeroso dei discepoli

  • La prima missione, a cura dei “dodici” inviati, richiamava simbolicamente le 12 TRIBÙ DI ISRAELE.
  • La seconda, di “settantadue”, richiama tutta l’umanità: 72 ERA INFATTI IL NUMERO DEI POPOLI DELLA TERRA SECONDO L’ELENCO DELL’ANTICO LIBRO DELLA GENESI.

Le due missioni sembrano dirci che, SE LA SALVEZZA DEVE ESSERE PROPOSTA PRIMA DI TUTTO AL POPOLO EBREO, DEVE PERÒ ARRIVARE FINO AI CONFINI DEL MONDO.

È interessante poi esaminare quali siano le istruzioni che ricevono gli inviati di Gesù:

  • non devono essere impacciati dalle ricchezze,
  • non devono cercare gli appoggi delle potenze mondane, perché la loro forza sta tutta nella Parola di Dio che annunciano e nella grazia di Dio di cui sono ministri.
  • Essi portano una cosa preziosa, L’ANNUNZIO DELLA SALVEZZA. Lo devono offrire in modo discreto e se qualcuno non lo vuole, non debbono imporlo.
  • Né debbono mendicare il favore e l’accoglimento dell’Annunzio da parte degli uomini.
  • Perché non è il Vangelo ad aver bisogno degli uomini, ma sono gli uomini ad aver bisogno del Vangelo. E non solo, deve essere un bisogno profondo, ardente, disperato, anche se spesso gli uomini non ne sono consapevoli.
  • Che cosa devono dire i discepoli?
  • Essi devono soprattutto e in primo luogo annunciare il Regno di Dio, che è vicino, che è imminente, a cui tutti dobbiamo prepararci con la conversione, verso la quale dobbiamo tendere con desiderio fiducioso!

E ancora… questo testo presenta alcune sfide.

  • La prima ruota attorno all’imperativo “ANDATE”. Questo verbo evidenza la premessa vitale a qualsiasi opera evangelizzatrice.

Spesso dimentichiamo che la Chiesa è per sua natura missionaria, e purtroppo la si concepisce solo come una istituzione statica. La pensiamo come una realtà “autoreferenziale”, quando invece Gesù pensava a un insieme profetico di uomini e donne che percorressero la storia facendo leva unicamente su questo mandato esplicito “ANDATE”.

Ciò per la Chiesa comporta uscire da sé stessa, pensare agli altri donando al mondo la Buona Novella di Dio.

Per cogliere la portata di questa affermazione basterebbe pensare alla continua tentazione dei cristiani cattolici di ripiegarsi sui propri progetti, sul passato, sulle certe acquisizioni dottrinali, sulle tradizioni antiche, rendendo così l’immagine di una Chiesa rigida, anchilosata, ripiegata su sé stessa, senza profeti né veri annunciatori del Vangelo.

  • La seconda sfida si fonda sulla certezza della vicinanza di Dio, che si fa compagno di viaggio, di cui i discepoli devono farsi fedeli annunziatori “…quando entrerete in una città…guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio»”.

Purtroppo tra le nostre parole e le nostre azioni, c’è un profondo divario, che evidenzia chiaramente la necessità di rivedere dalle fondamenta la nostra pastorale.

In più, gli uomini del nostro tempo difficilmente percepiscono la “presenza divina” come qualcosa di buono e alternativo, perché distratti da tante cose allettanti, ma vuote.

Senza ascolto della PAROLA, non possiamo trovare le parole umili e buone che avvicinano gli uomini alla tenerezza immensa di un Dio, che è Padre buono.

  • La terza sfida riguarda il rispetto globale e l’approccio amichevole e fraterno che dobbiamo tenere, verso coloro che incontriamo sul nostro cammino “…In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!»“.

Non è solo questione di buona educazione. Bensi si tratta di comprendere che “la pacesi espande per solo per contagio. Ma ciò presuppone che ogni uomo si sentano compresi da coloro che si presentano nel nome di Gesù…

E anche oggi vorrei chiudere regalandovi le parole di un grande Padre e Dottore della Chiesa, il Vescovo Sant’Agostino di Ippona, (detto anche “Doctor Gratiae” -“Dottore della Grazia“, forse il maggiore rappresentante della Patristica, è stato definito «il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell’umanità in assoluto»), che, nel celebre discorso 64/a, diceva:

  • Ma sebbene un sol lupo sia solito scompigliare un gregge grande quanto si vuole, le pecore ch’erano state mandate in mezzo a innumerevoli lupi ci andavano senza aver paura, poiché Colui che le mandava non le abbandonava. Ebbene, perché avrebbero dovuto temere d’andare tra i lupi coloro con cui c’era l’Agnello che ha vinto il lupo?”
  • Nostro Signore dice: “Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi.

Considerate che cosa fa un unico lupo se va in mezzo a molte pecore.

Per quante possano essere le migliaia di pecore, se si lancia in mezzo ad esse un unico lupo, si scompigliano e, anche se non vengono sbranate tutte quante, tuttavia vengono atterrite tutte.

Che razza di modo d’agire era dunque cotesto, che genere di progetto, che tipo di potere, quale grande prova della divinità era quella di lasciare entrare non già un lupo tra le pecore, ma di mandare le pecore tra i lupi?

Vi mando -egli dice- come le pecore in mezzo ai lupi, non “presso i confini delle tane dei lupi”, ma proprio in mezzo ai lupi.

I lupi dunque erano un grosso branco, mentre le pecore un piccolo gregge; ma dopo che il branco di lupi ebbe ucciso il piccolo gregge di pecore, i lupi si convertirono e divennero pecore.

Ragioniamoci sopra…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!