31 marzo DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE B – GIOVANNI 20,1-9 “Egli doveva risuscitare dai morti”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 20,1-9

+ Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

La Pasqua è il culmine della Settimana Santa, è la più grande solennità (la solennità delle solennità) per il mondo cristiano, e prosegue poi con l’Ottava di Pasqua e con il Tempo liturgico di Pasqua che dura 50 giorni, inglobando la festività dell’Ascensione, fino all’altra grande solennità della Pentecoste.

La Risurrezione è la dimostrazione massima della divinità di Gesù, non uno dei numerosi miracoli fatti nel corso della sua vita pubblica, a beneficio di tante persone che credettero in Lui.

Questa volta è Gesù stesso, in prima persona che indica il valore della sofferenza, comune a tutti gli uomini, che trasfigurata dalla speranza, conduce alla Vita Eterna, per i meriti della Morte e Resurrezione di Cristo.

Di conseguenza, la Pasqua è il giorno della gioia, del sollievo, del gaudio che sopraggiunge, dopo una fase di dolore e di mestizia.

È la dimostrazione reale della divinità di Cristo.

È una forza, una energia d’amore immessa, come lievito nella vita dell’uomo o come energia incredibile, che si espande a livelli concentrici fino all’infinito cristico, alimentando e sorreggendo la speranza che anche l’uomo risorgerà, perché le membra seguono la sorte del capo, dal momento che hanno la stessa natura umana (Eb 2,11).

La Pasqua è la festa solenne per eccellenza; è l’alleluia speciale dell’uomo; è il grido di gioia dell’umanità intera, è il “giorno di Cristo Signore”, Creatore Redentore e Glorificatore di tutto ciò che esiste ed è salvabile.

È IL GIORNO DELLA GLORIA DI CRISTO, VERO DIO E VERO UOMO.

È contemporaneamente la Pasqua del Signore e anche “nostra Pasqua” presente e futura.

Il termine greco “pascha” è la traslazione dell’aramaico “phaskha”, che corrisponde all’ebraico “pesàkh”.

Sono comunque incerti sia l’etimologia, che il significato del termine.

Nel mondo giudaico, la parola “pesakh” viene usata con diversi significati.

Questo termine indica:

-la festa di pasqua (Es 12,11), che si celebrava tra il 14 e 15 Nisan (Ez 12, 11);

-l’agnello che veniva immolato in occasione della festa (Es 12, 5. 21);

-la settimana pasqua-azzimi, dalla sera del 14 Nisan al 21 Nisan, con l’annessa festa ottavaria dei Mazzot, ossia degli azzimi, unificati nel periodo dell’esilio (Lv 23 6-8).

L’origine della festa di pasqua è legata alla vita nomade, in corrispondenza del cambio annuale del pascolo, COME PROTEZIONE CONTRO I DEMONI.

In seguito, è stata messa in relazione con l’evento dell’esodo dall’Egitto (Es 12,21-23), registrando nel tempo diverse modifiche, specialmente quella della riforma di Giosia (avvenuta nel 621 a.C.), che, da festa delle singole famiglie, venne limitata a Gerusalemme e legata al culto del tempio (Dt 16,1-6), assumendo, infine, il carattere di pellegrinaggio, come le altre feste (pentecoste e “dei tabernacoli”).

All’epoca del NT, era la festa più importante dell’anno ebraico.

Richiamava a Gerusalemme moltissimi pellegrini di tutto il mondo giudaico (Lc 2,41; Gv 11,55).

Il banchetto pasquale veniva consumato nelle case private a gruppetti di almeno 10 persone, e cominciava la sera dopo il tramonto del 15 Nisan.

La rituale preparazione dell’uccisione degli agnelli avveniva il pomeriggio del 14 Nisan, nel cortile del tempio, ed eseguita dai rappresentanti dei singoli gruppi partecipanti; ai sacerdoti spettava solo aspergere col sangue degli agnelli l’altare dei sacrifici.

La festa commemorava la liberazione dalla schiavitù d’Egitto ed esprimeva la gioia per la libertà conquistata, nella prospettiva della redenzione futura da parte del Messia.

Tutti e quattro i vangeli sono d’accordo nel collocare gli ultimi episodi di Gesù – l’ultima cena, l’arresto, l’interrogatorio e la condanna – come SVOLTI NEL PERIODO DELLA PASQUA (Mc 14; Mt 26-27; Lc 22-23; Gv 18-19).

Alcune divergenze: per i sinottici, l’ultima cena fu un banchetto pasquale.

Di conseguenza, Gesù sarebbe stato preso processato e condannato nella notte di pasqua e crocifisso il giorno seguente.

Per Giovanni, invece, gli avvenimenti della passione sono avvenuti il giorno prima, in modo da far coincidere la morte di Gesù con l’uccisione degli agnelli pasquali nel pomeriggio del 14 Nisan.

Ma per comprendere il valore della pasqua non basta conoscere la storia, ma bisogna entrare nella liturgia che celebra il mistero pasquale, cuore del cristianesimo, che ha in sé il nucleo dell’annuncio apostolico e la sintesi del mistero globale di Cristo e di tutta la storia sacra.

Questo concetto non solo è stato ben espresso nella Costituzione Liturgica del Vaticano II, ma costituisce addirittura l’intera ossatura del documento riformatore.

Infatti, il primo principio generale della natura della Liturgia recita “…..Dio ‘vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità’ (1Tim 2,4) [per questo], ‘nella pienezza del tempo, mandò il Figlio suo, il Verbo Incarnato’ (Gal 4,4), [come] ‘Mediatore con gli uomini’ (1Tim 2,5), perché la sua umanità fosse strumento di salvezza […]. Quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio […] è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua passione, della sua risurrezione dai morti e della sua gloriosa ascensione” (SC n.5).

E parafrasando l’art.10 della stessa Costituzione “Sacrosanctum Concilium”, si evince che la Liturgia attualizza il mistero pasquale e costituisce “il culmen e la fons” dell’intera opera di glorificazione di Dio per lai redenzione degli uomini, come già scriveva il Cantore dell’Immacolata, circa l’Eucaristia chiamandola “fundamentum et forma”, ossia il fondamento da cui promana tutta la vita della Chiesa e anche la perfezione verso cui tende la stessa vita ecclesiale.

Particolarmente dall’Eucaristia deriva all’uomo, come da sorgente, la GRAZIA, e si realizza la massima efficacia della santificazione degli uomini e della glorificazione di Dio in Cristo” (SC n.10).

Poiché la Costituzione Liturgica pone al centro di tutta la sua impostazione il mistero pasquale, sembra utile per la sua comprensione distinguere non solo i tre aspetti principali e più importanti – FATTO MISTERO E CENTRALITÀ – ma anche IL RITO, che ne attualizza gli effetti di GRAZIA.

Vediamo brevemente il testo.

Siamo arrivati alla Pasqua, dopo aver seguito Gesù nei suoi ultimi giorni di vita: al cenacolo, nell’orto degli Ulivi e il giorno dopo lo abbiamo trovato in croce, solo e nudo, le guardie lo avevano spogliato della tunica.

In verità lui stesso si era già spogliato della vita, dando tutto se stesso per la nostra salvezza.

Il sabato santo è stato un triste giorno vuoto. Gesù era oltre quella pesante pietra.

Eppure, anche mentre era senza vita, ha continuato a donarla “scendendo agli inferi“, ossia nel punto più basso possibile: per poter portare, sino al limite estremo, la sua solidarietà con gli uomini, fino ad Adamo, come ci ricorda la grande tradizione d’Oriente.

E, il Vangelo di Pasqua parte proprio da questo estremo limite, dalla notte buia.

Scrive Giovanni che “era ancora buio” quando Maria di Magdala si recò al sepolcro.

Era buio fuori, ma soprattutto dentro il cuore di quella donna, il buio per la perdita dell’unico che l’aveva capita: non solo le aveva detto cosa aveva nel cuore, soprattutto l’aveva liberata da ciò che l’opprimeva più di ogni altra cosa (ricordate che Marco aveva detto che era stata liberata da sette demoni).

Con il cuore triste Maria si recò al sepolcro. L’amicizia di Gesù è di quella specie che porta a considerare gli altri più di se stessi “…nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12), aveva detto Gesù.

E Maria di Magdala lo constata di persona quel mattino, quand’è ancora buio.

L’assenza di fede nella risurrezione viene già anticipata simbolicamente dall’annotazione che “era ancora buio” (Gv 20,1) quando Maria di Magdala si recò al sepolcro.

Lei stessa era ancora nel buio.

I suoi occhi non erano ancora stati illuminati e resi capaci di vedere al di là delle cose dalla parola della Scrittura (Gv 20,9).

E il “buio” nella simbologia giovannea rinvia a ciò che si oppone alla luce (Gv 1,5 e 3,19), designa la situazione problematica dei discepoli nell’assenza di Gesù (Gv 6,17), è la condizione di incertezza e sbandamento in cui si trova a vagare chi non segue Gesù (Gv 8,12), chi non crede in lui (Gv 12,46).

Insomma, siamo sì al “…primo giorno della settimana” (Gv 20,1), ma non è ancora spuntata l’alba, siamo ancora nel buio.

Comunque, il suo amico è morto, e lei sa bene che ha voluto bene a lei e a tutti i discepoli, Giuda compreso.

Appena giunta al sepolcro ella vide che quella pietra, posta sull’ingresso, pesante come ogni morte e ogni distacco, era stata ribaltata.

Ma non entra, e corre subito da Pietro e da Giovanni (che ormai sono la Chiesa nascente) e grida con gioia “…hanno portato via il Signore dal sepolcro!”

È l’inizio della FEDE PASQUALE, lo sprigionarsi di quella scintilla che presto diventerà un incendio….

Da quel primo giorno della settimana la resurrezione di Gesù diviene anche evento di parola, annuncio, anzi diviene la parola per eccellenza che la chiesa è chiamata ad annunciare e a testimoniare.

E aggiunge con tristezza “…non sappiamo dove l’abbiano messo“.

È terribile, Fratelli e Sorelle, la tristezza di Maria per la perdita del Signore, anche solo del suo corpo morto, è come uno schiaffo tirato alla nostra freddezza e alla nostra dimenticanza che Gesù vive per sempre.

Fratelli e Sorelle… la gioia della Pasqua matura solo nel cuore DI UN AMORE FEDELE.

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!