“«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).
Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.
E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo MARCO 6,1-6
+ In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. Parola del Signore
Mediti…AMO
Giovanni Bosco nasce a Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco), il 16 agosto 1815, e conclude la sua vita terrena a Torino, il 31 gennaio 1888
La sua è una famiglia di contadini poverissimi. Perde il padre Francesco quando ha solo due anni. Vive la sua infanzia insieme ai due fratelli, alla mamma Margherita Occhiena e alla nonna paterna semiparalizzata, accolta con amore nella misera casa. Viene educato dalla madre alla fede, alla preghiera e alla compassione dei poveri che, d’inverno, bussano e vengono ospitati nell’umile dimora.
Giovannino (così viene chiamato da tutti), è intelligente e per permettersi gli studi lavora come garzone, poi impara a fare il sarto e il fabbro e aiuta gli altri bambini a svolgere i compiti. Si reca all’oratorio e fa divertire i bambini per poi invitarli a pregare.
Aveva appena nove anni quando ebbe il sogno che gli indicò la sua strada: in un cortile, in mezzo a un gruppo di ragazzi, vide prima Gesù e poi la Madonna, attorniata a bestie feroci poi trasformate in agnelli.
Da quel momento Giovanni divenne per i suoi coetanei un apostolo in grado di affascinarli con il gioco e la gioiosa compagnia, ma anche di farli crescere nella fede con la preghiera.
Divenne sacerdote nel 1841 e nello stesso anno di fatto iniziò l’opera che poi diventò la Società Salesiana, fondata nel 1854.
Aprì un oratorio assieme a mamma Margherita che lo affiancherà nella sua missione: togliere i ragazzi dalla strada, insegnare loro un mestiere, educarli alla Parola del Signore.
Concepiva infatti l’oratorio come luogo di formazione cristiana, era infatti sostanzialmente di tipo religioso-morale, volta a salvare le anime della gioventù.
L’amorevolezza costituì il supremo principio pedagogico adottato da Don Bosco, che faceva notare come non bastasse però amare i giovani, ma occorreva che essi percepissero di essere amati.
Ma della sua pedagogia un grande frutto fu il cosiddetto “metodo preventivo”, nonché l’invito alla vera felicità insito nel detto “…state allegri, ma non fate peccati”.
E quella misera struttura, grazie alla “Divina Provvidenza”, diventa l’imponente Chiesa di Maria Ausiliatrice dove riposano le spoglie di Don Bosco.
UNO DEI MIRACOLI PIÙ NOTI DEL SANTO È QUELLO DEL PANE CHE, UN GIORNO, MOLTIPLICA PER I SUOI RAGAZZI.
Inoltre nella vita straordinaria di Don Bosco è presente un cane lupo, chiamato il “Grigio” per il colore del suo folto pelo: come un angelo custode, si manifesta all’improvviso per proteggere il sacerdote astigiano da gravi pericoli, per poi scomparire terminata la sua missione.
Al fine di garantire però una certa continuità e stabilità a ciò che aveva iniziato, fondò a Torino la Società di San Francesco di Sales (detti “Salesiani”), congregazione composta di sacerdoti, e nel 1872 a Mornese con Santa Maria Domenica Mazzarello le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Nel 1934 viene proclamato santo e nel 1988 “Padre e Maestro della gioventù”.
La sua opera educativa, che tende a prevenire piuttosto che a reprimere, si è diffusa in tutto il mondo attraverso la Congregazione Salesiana (ispirata da San Francesco di Sales), da lui fondata nel 1859.
Pietro Stella, suo miglior biografo, così descrisse il giovane sacerdote:
- “Prete simpatico e fattivo, bonario e popolano, all’occorrenza atleta e giocoliere, ma già allora noto come prete straordinario che ardiva fare profezie di morti che poi si avveravano, che aveva già un discreto alone di venerazione perché aveva in sé qualcosa di singolare da parte del Signore, che sapeva i segreti delle coscienze, alternava facezie e confidenze sconvolgenti e portava a sentire i problemi dell’anima e della salvezza eterna”.
DALLE “LETTERE” DI SAN GIOVANNI BOSCO:
Se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, e obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre tenero oggetto delle mie occupazioni, dei miei studi, del mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia, e solo alla maniera di chi vi si adatta per forza e per compiere un dovere.
Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! E’ certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza e alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava san Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo facevano piangere e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo.
Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma, che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione. Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne a ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l’aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi scandalo, e in molti la Santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti e umili di cuore (4r.Mt 11,29).
Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell’animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l’avvenire, e allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione. In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall’altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita. Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi. Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere, del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori e unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell’educazione della gioventù.
Ma vediamo il testo evangelico odierno.
l Vangelo di questa XIV domenica ci riporta a Nazareth con Gesù che torna nella sua “patria” e l’evangelista evita di parlare di Nàzareth, perché il caso non è relegato al piccolo paese di Nàzareth, ma si estende a tutta la nazione di Israele. Infatti la sua fama si era diffusa ben oltre la Galilea e aveva raggiunto persino Gerusalemme, e per tale motivo, in molti erano accorsi nella sinagoga per ascoltare le parole del loro concittadino.
Tutti i presenti, nonostante lo conoscessero bene, restarono stupiti delle parole che uscivano dalla sua bocca. E si domandavano “…donde gli vengono tali cose?“.
Se avessero ricordato le parole rivolte a Mosè “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli un profeta pari a me; a lui darete ascolto” (Dt 18,15), avrebbero accolto non solo le parole ma lo stesso Gesù come inviato di Dio.
La gente di Cafarnao aveva accettato l’insegnamento di Gesù (Mc 1,22), ma la gente di Nàzareth ne era rimasta scandalizzata e non l’aveva accettato.
Purtroppo, gli abitanti di Nazareth si bloccano davanti al carattere ordinario della sua presenza: non è così che essi immaginano un inviato di Dio, specie se viene dal loro stesso paese. Infatti pensano che un profeta debba avere i tratti della straordinarietà e del prodigioso, ma soprattutto, venire con regalità e potenza inaudita. Non riuscirono a sopportare che un uomo come lui, che tutti conoscevano benissimo, potesse avere autorità su di loro, e che pretendesse, IN NOME DI DIO, un cambiamento della loro vita, del loro cuore, dei loro sentimenti.
E c’è una considerazione importante da fare. A Nàzareth, la gente rimane stupita del suo insegnamento, e non c’è una reazione positiva, tanto che si chiedono “…da dove gli vengono queste cose?”
Non percepiscono in Gesù la condizione divina, perché gli scribi hanno detto che in Gesù c’è una condizione diabolica, e loro devono credere ciò che le autorità impongono di credere.
E si stupiscono dei prodigi e dicono che “sono compiuti dalle sue mani”, come se Gesù fosse uno stregone.
Evitano di nominare Gesù, si riferiscono a lui con profondo disprezzo “…non è costui”, quindi evitano di pronunciare il nome e poi passano all’offesa, lo chiamano “…il figlio di Maria”.
Un figlio, nel mondo palestinese, veniva sempre chiamato con il nome del padre, anche quando il padre era defunto; il figlio conservava sempre il nome del padre. Quindi avrebbero dovuto dire “…ma non è il figlio di Giuseppe?” …invece ignorano completamente Giuseppe. Dire che qualcuno è il figlio di una donna significava dire che la paternità è dubbia e incerta.
Quindi passarono alle offese ed elencano i suoi parenti, fratelli e sorelle, cioè gli appartenenti al suo clan familiare e, conclude l’evangelista, che tutto questo per loro “…era motivo di scandalo”.
Ma questo è lo scandalo DELL’INCARNAZIONE: Dio agisce attraverso l’uomo, con tutta la pochezza e la debolezza della carne; Dio non si serve di gente fuori dal comune, ma di persone qualsiasi; non si presenta con prodigi o parole stravaganti, bensì con la semplice parola evangelica e con i gesti concreti della carità vissuta, che sono i segni ordinari della straordinaria presenza di Dio nella storia.
L’apostolo Paolo scrive ai Corinzi “I Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1,22-25).
Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!