… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo MATTEO 8,23-27
In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva. Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia. Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
Ireneo, discepolo di san Policarpo e, attraverso di lui, dell’apostolo san Giovanni, è una figura di primaria importanza nella storia della Chiesa.
Originario dell’Asia, nato con molta probabilità a Smirne, approdò in Gallia e nel 177 succedette nella sede episcopale di Lione al novantenne vescovo san Potino, morto in seguito alle percosse ricevute durante la persecuzione contro i cristiani.
Pochi giorni prima delle sommosse anticristiane, Ireneo era stato inviato a Roma dal suo vescovo per chiarire alcune questioni dottrinali.
Tornato a Lione, appena sedata la bufera, fu chiamato a succedere al vescovo martire, in una Chiesa decimata dei suoi preti e di gran parte dei suoi fedeli.
Si trovò a governare come unico vescovo la Chiesa dell’intera Gallia.
Lui, greco, imparò le lingue dei barbari per evangelizzare le popolazioni celtiche e germaniche. E dove non arrivò la sua voce giunse la parola scritta.
Nei suoi cinque libri Adversus Haereses traspare non solo il grande apologista, ma anche il buon pastore preoccupato di qualche pecorella allo sbando che cerca di condurre all’ovile.
In data 21 gennaio 2022 Papa Francesco lo ha dichiarato Dottore della Chiesa, con il titolo di Doctor unitatis“. Ireneo è così il primo martire nella storia della Chiesa a ricevere il titolo di Dottore.
La sua memoria liturgica, oggi posta al 28 giugno, sino al Messale del 1962 ricorreva invece il 3 luglio.
Dice la preghiera di Colletta: “O Dio, che al vescovo sant’Ireneo hai dato la grazia di confermare la tua Chiesa nella verità e nella pace...”, indicando bene l’opera compiuta da questo santo, vescovo della Chiesa di Lione nel Il secolo.
In quel tempo la dottrina cristiana era minacciata dallo gnosticismo, tendente a ridurre tutto a pura astrazione; Ireneo, con la sua predicazione e le sue opere, ne tutelò l’integrità, approfondendo la conoscenza delle Scritture e dei misteri della fede: la Trinità, Cristo centro della storia, l’Eucaristia che nutrendoci del corpo e del sangue di Cristo “rende la nostra carne atta alla visione di Dio”.
Ireneo è un santo molto Ottimista: è sua la famosa affermazione: “Gloria di Dio è l’uomo vivente”.
Promotore di verità, Ireneo lo fu anche di pace nella Chiesa, facendosi mediatore di riconciliazione nella controversia sulla data della Pasqua, questione ben poco importante, ma che minacciava l’unità e la pace dei cristiani in quel secolo.
Domandiamo allora, per sua intercessione, quello che oggi chiede la Chiesa: “O Dio, che al vescovo sant’Ireneo hai dato la grazia di confermare la tua Chiesa nella verità e nella pace, fa’ che ci rinnoviamo nella fede e nell’amore e cerchiamo sempre ciò che promuove l’unità e la concordia“.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Ci troviamo di fronte allo scatenarsi nel mare di un «sisma» – dice il testo greco -, un movimento così violento che la barca era coperta dalle onde.
Una tempesta è una situazione negativa incontrollabile, a cui umanamente non si sa come fare fronte.
Essa può significare una situazione incontrollabile interiore, quando si entra in un coacervo di emozioni negative, di angosce, di ira, di frustrazione, di disperazione dalle quali non si sa più come salvarsi.
Può indicare pure una situazione sociale, civile, ecclesiastica, una situazione di forze contrastanti impazzite, che agitano da ogni parte la nostra barca, sia essa la nostra persona o la nostra comunità.
Di queste tempeste, di tali forze impazzite contrastanti è piena la storia, anche contemporanea. Così per esempio la situazione della ex Jugoslavia o di alcuni Paesi del Centro Africa, l’Afghanistan, l’Iraq, e da ultimo l’Ucraina.
In una simile realtà, nella quale sono entrati gli apostoli DI TUTTI I TEMPI, Gesù dorme e, svegliato, grida:
- «Perché avete paura, uomini di poca fede?».
Rimprovera così la stessa viltà e sconforto che abbiamo visto rimproverati a Timoteo da parte di Paolo.
E comprendiamo che questa paura e viltà sono frutto di poca fede. Fede scarsa, insufficiente, più piccola di quel grano di senapa che sposta le montagne.
E, se perdiamo questa poca fede, la paura (che ci paralizza) e la fiducia (che ci dà forza), iniziano a cercare di prevalere l’una sull’altra. Ma esse, sono due sentimenti inversamente proporzionali, diremmo, usando un termine matematico.
Se cresce l’una, cala l’altra e viceversa.
La prima viene dalla coscienza del nostro limite UMANO, e conta su ciò che noi possiamo, la seconda viene dalla conoscenza CHE DIO CI È PADRE E CONTA SU CIÒ CHE LUI PUÒ.
Il limite appoggiato sulla fiducia è la casa della Fede, nella quale ci abbandoniamo nel cuore di Dio.
Infatti, quando gridiamo “Signore!!! Salvaci!!!”; tocchiamo il fondo della nostra creaturalità e veniamo liberati dal nostro volerci salvare da soli.
Gesù ha dormito per noi e si è risvegliato per noi, per rimetterci al nostro posto nel mondo.
In Gesù Risorto, in Lui che si risveglia, È VINTA LA NOSTRA PAURA E CI È RICONSEGNATA LA NOSTRA VERA IDENTITÀ, DI FIGLI AMATI DI DIO, E DAMATI DA DIO.
Ma c’è un aspetto da analizzare bene.
Perché abbiamo paura se il Signore è con noi sulla barca?
Perché SIAMO DEI PESSIMI CRISTIANI, che hanno una visione scorretta della vita di fede.
Crediamo infatti che essere credenti, significa vivere sempre nella bonaccia, senza scossoni, senza problemi.
Non è così: al discepolo la sofferenza non viene evitata.
La vita in sé è portatrice di difficoltà, di dolore spesso atroce, di fragilità.
Tanto che spesso è una lotta continua per sopravvivere.
E le onde, di cui ci parla il Vangelo di oggi, sono le contrarietà a quello che vorremmo.
E allora satana, subito ci insinua, come un tarlo, il suo vecchio pensiero. Mi sembra di sentirlo, mentre si crogiola nella nostra sofferenza e ci sussurra malevolo:
- “ma come? Siete stati così bravi. Avete creduto alla Sua Parola, vi siamo convertiti, avete accolto nella vostra vita il volto luminoso del Dio di Gesù. Siete diventati suoi discepoli sull’onda dell’entusiasmo ed ora il vostro Grande Dio, vi ha abbandonati?
- È bastato un problema di salute, o sul lavoro, o in famiglia… e vi ha lasciati soli?”
E, nella nostra conclamata miseria, ecco che subito ci assalgono dubbi di fede:
- E se ci fossimo sbagliati?
- Se Gesù non fosse così come abbiamo immaginato che sia?
Dimenticando che è normale che ciò avvenga, è normale che durante la traversata più e più volte la nostra fede venga messa alla prova dalle turbolenze della vita.
La vita è una difficilissima scalata. Un cammino che porta con sé, inevitabilmente, momenti di sconforto e di crisi in cui abbiamo l’impressione che Dio dorma sonni beati e non abbia tempo né voglia di curarsi di noi.
E, anche se non mettiamo in dubbio la sua esistenza e nemmeno la sua bontà: restiamo perplessi dal suo atteggiamento, apparentemente distaccato.
La differenza, allora, non è fra una vita senza problemi e una vita travolta dalle difficoltà, ma sta nella consapevolezza che DIO È SEMPRE CON NOI E CHE CI CREDE CAPACI DI GOVERNARE LA NOSTRA BARCA.
Che cosa chiede allora Gesù in positivo, come vera fede, fede non piccola?
Lo possiamo esprimere ancora con le parole della seconda Lettera a Timoteo (2Tm 1,12):
- «… io so a chi ho creduto».
Non aspetto la salvezza comunque; non cesso di darmi da fare; né mi impegno, mettendo Dio per ultimo.
Fin dall’inizio so a chi ho creduto e per questo fin dall’inizio vivo senza sosta e con pace la mia lotta contro ogni forma di autogiustificazione, nella certezza che anche le situazioni apparentemente insostenibili, incontrollabili, sono realtà in cui Dio ci ha posto.
Ecco la GRAZIA DELLA FEDE che domandiamo per noi e che chiediamo di trasmettere, quella che ci dà pace, ci conforta nelle tribolazioni, ci accompagna nelle oscurità, ci sostiene nelle debolezze e nelle frustrazioni; ci permette di affrontare le tempeste della vita, della Chiesa, del ministero, della vita sociale, economica e politica, non con ricette già preparate, ma con il cuore pacificato dal riconoscimento del primato di Dio.
E tale primato che la liturgia ci invita oggi a riconoscere dando a Dio solo onore, lode e gloria per mezzo di Gesù Cristo e della sua morte e risurrezione.
Ha detto JOHN FITZGERALD KENNEDY (1917-1963 – 35’ presidente degli Stati Uniti d’America, dal 1961 al 1963), assassinato da un facinoroso:
- “Mi abbandono, o Dio, nelle tue mani, gira e rigira quest’argilla, come creta nelle mani del vasaio. Dalle una forma e poi spezzala, se vuoi. Domanda, ordina, che cosa vuoi che io faccia? Innalzato, umiliato, perseguitato, incompreso, calunniato, sconsolato, sofferente, inutile a tutto, non mi resta che dire, sull’esempio di tua madre: “Sia fatto di me secondo la tua parola”. Dammi l’amore per eccellenza, l’amore della croce, ma non delle croci eroiche che potrebbero nutrire l’amor proprio, ma di quelle croci volgari che purtroppo porto con ripugnanza…Di quelle croci che si incontrano ogni giorno nella contraddizione, nell’insuccesso, nei falsi giudizi, nella freddezza, nel rifiuto e nel disprezzo degli altri, nel malessere e nei difetti del corpo, nelle tenebre della mente e nel silenzio e aridità del cuore. Allora solamente tu saprai che ti amo, anche se non lo saprò io, ma questo mi basta.”
Ragioniamoci sopra…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!