27.10.2022 GIOVEDI’ 30^ SETTIMANA P.A. C – LUCA 13,31-35 “Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo LUCA 13,31-35

In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere». Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”. Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

Gesù si trova ancora in Galilea ma è in cammino verso Gerusalemme (Lc 9,51).

Non può rinunciare ad andare nella città santa dove troverà compimento la sua missione.

Gesù considera i farisei come gli ambasciatori di Erode e chiede loro di rispondere al re con queste parole “è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (13, 32-33).

Gesù non si lascia intimidire dalle minacce, non si nasconde, non ha intenzione di rinunciare al compito che gli è stato affidato, anzi ribadisce che andrà fino in fondo.

Queste parole invitano anche noi ad evitare ogni forma di mediocrità. Lungo il cammino incontriamo spesso ostacoli, piccoli e grandi.

A volte all’esterno ma tante altre volte all’interno. Il Signore ci chiede di rimanere fedeli al compito che ci è stato affidato.

C’è una storia da costruire, ci sono ancora tante pagine da scrivere, nessuno deve fermarsi a metà.

Un santo eremita, S. Antonio Abate, in proposito, diceva:

“Non riposarci, dopo aver incominciato, non venir meno alle fatiche, non dire abbiamo coltivato a lungo l’ascesi; accresciamo invece la prontezza della nostra volontà, come se incominciassimo ogni giorno”.

In tutto questo vediamo presente il desiderio di Dio, che è quello di È SALVARE. Lo sentiamo nella sommessa voce del Signore Gesù, nel suo sguardo appannato dalle lacrime che a stento trattiene.

La sua missione volge al termine, la speranza di risolvere tutto con semplicità sembra svanire, la sua fiducia nella capacità dell’uomo a cambiare, contraddetta e smentita dai fatti.

L’uomo non cambierà mai, entusiasta nell’accogliere una novità, diventa spietato nel distruggerla appena sopraggiunge la noia.

E Gerusalemme non è la Galilea e l’entusiasmo della sua gente ha poco a che vedere con l’atteggiamento di sufficienza e di superficialità della città abituata ad accogliere (e uccidere) i profeti.

Gerusalemme, è la città di Dio, è la città della pace (parte del suo nome contiene la parola “shalom”, pace), la città di Dio, la città del tempio, del sacrificio, la città che raccoglierà tutti i popoli della terra che verranno ad adorare l’unico Dio e Creatore.

Ma Gerusalemme ha anche un altro volto terribile. È la città della morte dei profeti. La profezia si compie nella morte dei profeti, e la grande profezia di salvezza si compirà PROPRIO nella UCCISIONE di Gesù.

A peggiorare la situazione ci si mette anche Erode, uno degli indegni figli del feroce Erode il grande, quello che ha fatto uccidere il Battista.

Gesù non vuole aprire anche questo fronte e giudica con disprezzo il pavido re-fantoccio al soldo dell’Impero Romano: la volpe, in Israele, diversamente dalla nostra cultura, è considerato un animale sciocco.

E dire “…quella “volpe” di Erode”, nel linguaggio ebraico non è quindi di certo un complimento. Parliamo di uno dei figli inetti di Erode il grande, ovvero quello che stava con Erodiade, sua nipote e moglie di suo fratello.

Gesù ha parlato di un Dio che conosce e ama i suoi figli, che li protegge e li chiama a partecipare alla sua stessa vita, un Dio che gioisce e ama i passeri del cielo e i gigli del campo.

Un Dio immensamente diverso da quella caricatura che ne abbiamo fatto. Ma nulla, non è servito a nulla.

I giudei preferivano un Dio lontanissimo, da manipolare e riverire, da placare e sedurre con qualche sacrificio nel mastodontico e lussuoso tempio appena ricostruito. Insomma: un Dio addomesticabile e a loro immagine.

“Ho voluto raccogliere i tuoi figli e voi non avete voluto!” In queste parole amare, c’è il dramma dell’uomo che rifiuta la felicità e presume di conoscerne i segreti, che ammazza i profeti rei di essere autentici Uomini di Dio e che mettono a nudo le verità scomode…

Gesù accetta: a Gerusalemme resterà, anche se dovrà morire, Dio è fedele, almeno lui non si lascia scoraggiare né arretra.

E Gesù, il messia atteso e misconosciuto, pagherà questo tributo pur di essere riconosciuto come volto di un Dio pieno di misericordia e di attenzione…

Dalla prima pagina di questo Evangelo, il Signore Gesù si rivela al lettore un passo alla volta, ed è una rivelazione in crescendo, che fa vedere e sapere chi è e che cosa fa il Maestro.

Perciò Erode la volpe non avrebbe nulla da temere, perchè Gesù non si nasconderà, non tramerà contro il potere nelle taverne o nelle corti dei miracoli di Gerusalemme, non formerà un partito armato e non entrerà in clandestinità.

Ma camminerà deciso verso Gerusalemme e tutti lo vedranno, tutti gli porgeranno omaggio, ma nessuno potrà immaginare quello che Gesù sa e che qui dice, cioè che sale a Gerusalemme per morire.

Gerusalemme, la città di Dio, la città della pace, bagnata dal sangue dei profeti e dal sangue di Cristo.

La città di Dio che uccide i profeti e lapida gli inviati del Signore.

Mi fa male al cuore ogni volta che riascolto le parole del Signore “…quante volte ho voluto… e voi non avete voluto! Quante volte…!” Prima e dopo Cristo! A Gerusalemme ma anche a Roma!

A Gerusalemme e in ogni città e villaggio in cui Dio ha mandato un suo profeta per raccogliere il suo popolo come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali.

Dunque, qui è un braccio di ferro tra due volontà:

  • la volontà umana, religiosa, zelante,
  • e la volontà di Dio.

Due volontà che combattono.

La volontà umana non vuole esplicitamente fare “contro” Dio, ma vuole fare meglio di Dio. È convinta di saper fare meglio di Dio. E quindi senza di lui.

Che sia ricordato, incensato, lodato, invocato… ma non obbedito.

La volontà di Dio, che non appena pretende obbedienza, viene combattuta, lapidata e uccisa.

E questo avviene nella capitale della religione di Dio, a Gerusalemme. È il concorso di tutte le volontà umane che canta a Gesù Cristo: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”, ma quel “giorno” (che in ebraico indicava un periodo di tempo finito, non le 24 ore), quel “dato tempo”, potremmo tradurre liberamente, è il tempo della crocifissione di Gesù.

Lo stesso Gesù, lo stesso tempo, la stessa città.

Il popolo di Gerusalemme non vedrà chi è Gesù mentre sale in trionfo in città. Ne vede una parte che non può essere compresa senza l’altra.

L’altra è il Cristo del venerdì santo. Questo è il sacrificio che salva, questo è l’uomo di Dio, questo è il redentore di Israele, questo è il Messia. Dio ha vinto. La redenzione è avvenuta. Il piano di salvezza ha subìto i poteri forti, per vincerli.

La morte di Gesù non sarà l’ennesimo profeta di Dio fatto fuori nella città di Dio, ma sarà il compimento di tutte le profezie di Dio per la salvezza e la redenzione del suo popolo.

Gesù entra a Gerusalemme e quando gli cantano “…Benedetto colui che viene nel nome del Signore” hanno in mente la loro idea di salvezza e di redenzione, quella con cui vogliono e vogliamo fare meglio di Dio e così commettono e commettiamo il più odioso dei peccati. E non si rendono conto che quello stesso Gesù, che va a morire con grido della folla “crucifige!”, in realtà è IL SALVATORE DEL MONDO. Lì lo vedono, ma non vedono la salvezza di Dio.

La triplice ripetizione del nome di Gerusalemme, che notiamo nl testo odierno, è l’espressione di un amore e di una tenerezza infiniti.

Gesù non piange sulla propria sorte, ma sulla sua città amata (Lc 19,41; 23,28 ss).

Gli reca più dolore il male dell’amata che non la propria uccisione che avviene per mano dell’amata.

È la manifestazione suprema del suo amore. È l’amore dello Sposo che piange il male della sposa che l’uccide.

È importante la rivelazione anticipata di questo amore che, pur prevedendo il peggio, si offre senza condizioni.

La vista di un Dio che ci ama fino a morire per noi sarà l’offerta estrema d’amore che rende possibile la conversione (Lc 23,48; Gv 12,32).

L’immagine che Gesù dà di sé, paragonandosi a una chioccia, è la più umile e la più bella di tutte. Richiama le parole di Dio del Sal 91,4: “Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio”.

Esprime la forza della sua tenerezza: l’aquila potente che salva (Dt 32,11) qui si fa chioccia. L’amore materno di Dio è tanto forte da renderlo debole, tanto sapiente da renderlo stolto, fino a dare la vita per noi “Egli infatti fu crocifisso per la sua debolezza“, scriverà Paolo di Tarso nella sua seconda Lettera ai Corinti (2Cor 13,4).

L’ultima frase di questo capitolo lascia ancora aperta la possibilità al ravvedimento.

Queste parole si riferiscono all’ingresso di Gesù in Gerusalemme (Lc 19,38), ma soprattutto all’ultimo ritorno di Cristo alla fine dei tempi.

Anche i giudei saluteranno questo ritorno, perché allora saranno convertiti (Rm 11,25-31).

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!