25 luglio 2024 giovedì SAN GIACOMO – MATTEO 20,20-28 “…il mio calice lo berrete”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

 

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo MATTEO 20,20-28

+ In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

San Giacomo fu martire a Gerusalemme nel 42 d.C.

E’ detto il “Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo.

Lui e suo fratello Giovanni sono figli di Zebedeo, pescatore in Betsaida, sul lago di Tiberiade, vengono chiamati da Gesù (che ha già con sé i fratelli Simone e Andrea) e anch’essi lo seguono (Matteo cap. 4).

Nasce poi il collegio apostolico: “(Gesù) ne costituì Dodici che stessero con lui: (…) Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono” (Marco cap. 3).

Con Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo e della notte al Getsemani.

Conosciamo anche la loro madre Salòme, tra le cui virtù non sovrabbonda il tatto.

Chiede infatti a Gesù posti speciali nel suo regno per i figli, che si dicono pronti a bere il calice che egli berrà. Così, ecco l’incidente: “Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono”.

E Gesù spiega che il Figlio dell’uomo “è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Matteo cap. 20).

E Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire, nella primavera dell’anno 42. “Il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni” (Atti cap.12).

Questo Erode è Agrippa I, a cui suo nonno Erode il Grande ha fatto uccidere il padre (e anche la nonna) e che a Roma è poi compagno di baldorie del giovane Caligola, che nel 37 sale al trono e lo manda in Palestina come re.

Un re detestato, perché straniero e corrotto, che cerca popolarità colpendo i cristiani.

Su Giacomo il Maggiore secoli dopo, nascono tradizioni e leggende. Si dice che avrebbe predicato il Vangelo in Spagna, dove, quando quel Paese cade in mano araba (sec. IX), si afferma che il corpo di san Giacomo (Santiago, in spagnolo) è stato prodigiosamente portato nel nord-ovest spagnolo e seppellito nel luogo poi notissimo come Santiago de Compostela.

Nell’angoscia dell’occupazione, gli si tributa un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno degli oppressi e addirittura un combattente invincibile, ben lontano dal Giacomo evangelico (a volte lo si mescola all’altro apostolo, Giacomo di Alfeo).

MA VENIAMO AL TESTO EVANGELICO ODIERNO, nel cui contesto vediamo il Signore Gesù e i discepoli, in cammino verso Gerusalemme (Mt 20,17).

Gesù sa che lo uccideranno (Mt 20,8), e il profeta Isaia lo aveva già annunziato (Is 50,4-6; 53,1-10).

La sua morte non sarà il frutto di un destino cieco o di un piano prestabilito, MA SARÀ LA CONSEGUENZA DELL’IMPEGNO LIBERAMENTE ASSUNTO DI ESSERE FEDELE ALLA MISSIONE CHE RICEVETTE DAL PADRE INSIEME AI POVERI DELLA SUA TERRA.

Gesù aveva già detto chiaramente che il discepolo deve seguire il maestro e portare la sua croce dietro di lui (Mt 16,21.24).

MA I DISCEPOLI NON CAPIRONO BENE COSA STAVA SUCCEDENDO (MT 16,22-23; 17,23), PERCHÉ LA SOFFERENZA E LA CROCE NON SI COMBINAVANO CON L’IDEA CHE AVEVANO DEL MESSIA.

E il Signore sottolinea a loro, ma anche ad ognuno di noi, che viviamo in una epoca contraddistinta dall’IMMAGINE ESTERIORE E DALLLA SPASMODICA E NEFASTA RICERCA DEL POTERE E DEI PRIMI POSTI, CHE È SOLO LO STARE VICINI A COLORO CHE SOFFRONO, CHE CONFERISCE IL VERO POTERE AD OGNI NOSTRA AZIONE.

E, in questo contesto, mentre il Signore Gesù sta preannunciando che la sua passione è ormai prossima, sente i suoi discutere su chi di loro dovrà essere il primo.

Infatti arriva la madre dei figli di Zebedeo, che si prostra davanti a Gesù con i suoi due figli, Giacomo e Giovanni.

Il suo atteggiamento, come abbiamo avuto modo di vedere, riflette l’ambiguità con la quale il popolo di Israele, ma anche i discepoli che sono stati scelti, ovvero i Dodici, mal intendono il Signore Gesù, la sua persona e il suo messaggio, e cosa significa seguirlo.

Ed essa, come tutti, chiede un posto influente in politica, un potere nel mondo, per i propri figli.

Gli altri dieci non hanno un’opinione di Cristo diversa da quella della madre e dei figli di Zebedeo.

Tutti reagiscono con indignazione e gelosia e tutti pretendono il primo posto al fianco di colui che sperano sia il futuro Re di Israele.

Ma il Signore dice loro «…voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono «…lo possiamo».

La risposta di Gesù li forza ad un cambiamento radicale di prospettiva in rapporto con lui.

Ma, visto che ancora non comprendono, il Maestro non indugia ad indicare di che trono si tratti e quale sia la condizione richiesta per sedervi.

E, insegna loro, che il suo regno non è un regno di questo mondo, PERCHÉ NEL SUO REGNO, CHI VUOLE ESSERE IL PRIMO, DEVE ESSERE L’ULTIMO DI TUTTO E IL SERVO DI TUTTI.

E per far ciò occorre bere il calice amaro della passione, e offrirsi in libagione come vittime, dirà Paolo di Tarso.

Proprio perché il vero potere sgorga dalla situazione crociale, OVE LA CROCE RAPPRESENTATA COL SIMBOLO DEL CALICE TRASFORMA IL SANGUE IN BEVANDA POTENTISSIMA, EFFICACISSIMA PER LA NOSTRA E ALTRUI VITA.

Comunque sia Giacomo che Giovanni berranno allo stesso calice di Cristo e coroneranno con la palma del martirio la loro vita.

Infatti, Giacomo, “il maggiore”, figlio di Zebedeo, ha fatto sua la lezione, rapidamente e in modo eroico, come ho innanzi già detto.

Fu, infatti, il primo degli apostoli a bere dal calice del Signore, il suo primo martire.

Ecco allora che il Vangelo ci svela che il vero valore della sofferenza e del martirio È LA PARTECIPAZIONE AL SACRIFICIO DI CRISTO, LA CONDIVISIONE DI UNA CRUDELTÀ ASSURDA CHE SGORGA DAL PECCATO PER INFLIGGERE LA MORTE, MA QUELLA MORTE CHE ORMAI PER LA FORZA DI CRISTO CI CONDUCE ALLA RISURREZIONE.

Il potere vero, derivante dalla verità, non è quello in mano agli uomini, nemmeno ai religiosi, ma quello in sintonia con ogni situazione di sofferenza fisica o morale dell’umanità.

Ecco perché il farsi servi di queste situazioni ci rende potentissimi nel regnare, nel condurre cioè la nostra e l’altrui vita sulla via della serenità, della vera sicurezza e della vera pace, che non sono in mano agli uomini, ma vengono date in dono.

Ogni potere che non passa da questa strada è fuori luogo, fuori tempo, e soprattutto è fuori rispetto alla persona, che vede questo potere come imposizione e non servizio.

Il potere che parte dal servire e dal servire attraverso il passaggio nella sofferenza, invece, si incarna subito e diventa sangue del mio sangue, vita della mia vita, e quindi via della mia via: non solo si vive accanto, ma si cammina regnando insieme.

Il richiamo di oggi viene dato attraverso uno che è chiamato a servire e a soffrire insieme e dentro l’umanità, per rendere questa potenza la forza trainante del mondo, il vero potere che discerne ogni altro falso, la vera strada che percorsa insieme nel servirsi a vicenda ci rende tutti regnanti.

Infatti, la lezione che dà Gesù, riunendoli, approfondisce fino all’estremo il contenuto paradossale della sua azione liberatrice – incomprensibile per gli uomini, ineffabilmente luminosa vista secondo l’amore di Dio:

  • Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.

GIA’…UNA COSA DIFFICILE DA MANDARE GIU’, SPECIE AL GIORNO D’OGGI, NEL QUALE IL MONDO CI INVITA A GAREGGIARE CONTINUAMENTE PER ESSERE PRIMI.

Dovremmo tornare TUTTI, IO PER PRIMO, a Gesù, quel “re dei Re” che si è fatto SERVO, a quel Messia “Servo”, annunciato dal profeta Isaia (Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12), che, in questo mondo, imparò da sua madre che, senza esitare, e senza cercare le glorie di questo mondo, disse “Eccomi…sono  l’ancella del Signore, avvenga di me secondo la Tua Parola!“(Lc 1,38).

E se questa era una proposta totalmente nuova per la società di quel tempo, FIGURIAMOCI PER LA NOSTRA!

CHE DIO CI AIUTI!

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!