17.01.2023 MARTEDI’ SANT’ANTONIO ABATE – MARCO 2,23-28 “…il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

 

… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…

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Dal Vangelo secondo MARCO 2,23-28

In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe. I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!». E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

LA VITA DEL SANTO MONACO EREMITA

Antonio (Alto Egitto, c. 250 – 356) si sentì chiamato a seguire il Signore nel deserto udendo nella liturgia il vangelo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri» (Mt 19, 21); «Non affannatevi per il domani» (Mt 6, 34). Il suo esempio ebbe vasta risonanza e fu segnalato a tutta la Chiesa da sant’Atanasio.

È considerato il padre di tutti i monaci e di ogni forma di vita religiosa. Sensibile ai problemi del suo tempo, collaborò per il bene comune con i responsabili della vita ecclesiastica e civile. I Copti, i Siri e i Bizantini ricordano il suo «giorno natalizio» il 17 gennaio.

Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250, a vent’anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356.

Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente. Anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant’Atanasio, che contribuì a farne conoscere l’esempio in tutta la Chiesa.

Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Concilio di Nicea. Nell’iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore.

Dopo la pace costantiniana, il martirio cruento dei cristiani diventò molto raro. A questa forma eroica di santità dei primi tempi del cristianesimo, subentrò un cammino di santità professato da un nuovo stuolo di cristiani, desiderosi di una spiritualità più profonda, di appartenere solo a Dio e quindi di vivere soli nella contemplazione dei misteri divini.

Questo fu il grande movimento spirituale del Monachesimo, che avrà nei secoli successivi varie trasformazioni e modi di essere, dall’eremitaggio alla vita comunitaria. Espandendosi dall’Oriente all’Occidente, divenne la grande pianta spirituale su cui si è poggiata la Chiesa, insieme alla gerarchia apostolica. Anche se probabilmente fu il primo a instaurare una vita eremitica e ascetica nel deserto della Tebaide, sant’Antonio ne fu senz’altro l’esempio più stimolante e noto. Conoscitore profondo dell’esperienza spirituale di Antonio, fu sant’Atanasio (295-373) vescovo di Alessandria, suo amico e discepolo, il quale ne scrisse la biografia, fonte principale di ciò che sappiamo di lui.

Attratto dall’ammaestramento evangelico «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi», e sull’esempio di alcuni anacoreti che vivevano nei dintorni dei villaggi egiziani, in preghiera, povertà e castità, Antonio volle scegliere questa strada. Vendette dunque i suoi beni, affidò la sorella a una comunità di vergini e si dedicò alla vita ascetica davanti alla sua casa e poi al di fuori del paese.

Alla ricerca di uno stile di vita penitente e senza distrazione, chiese a Dio di essere illuminato. Vide poco lontano un anacoreta come lui, che seduto lavorava intrecciando una corda, poi smetteva, si alzava e pregava; subito dopo, riprendeva a lavorare e di nuovo a pregare.

Era un angelo di Dio che gli indicava la strada del lavoro e della preghiera che, due secoli dopo, avrebbe costituito la base della regola benedettina «Ora et labora» e del Monachesimo Occidentale.

Parte del suo lavoro gli serviva per procurarsi il cibo e parte la distribuiva ai poveri. Sant’Atanasio asserisce che pregasse continuamente e che fosse così attento alla lettura delle Scritture che la sua memoria sostituiva i libri.

Dopo qualche anno di questa esperienza, in piena gioventù cominciarono per lui durissime prove. Pensieri osceni lo tormentavano, l’assalivano dubbi sulla opportunità di una vita così solitaria, non seguita dalla massa degli uomini né dagli ecclesiastici. L’istinto della carne e l’attaccamento ai beni materiali, che aveva cercato di sopire in quegli anni, ritornavano prepotenti e incontrollabili.

Chiese dunque aiuto ad altri asceti, che gli dissero di non spaventarsi, ma di andare avanti con fiducia, perché Dio era con lui. Gli consigliarono anche di sbarazzarsi di tutti i legami e di ogni possesso materiale, per ritirarsi in un luogo più solitario.

Così, ricoperto appena da un rude panno, Antonio si rifugiò in un’antica tomba scavata nella roccia di una collina, intorno al villaggio di Coma. Un amico gli portava ogni tanto un po’ di pane; per il resto, si doveva arrangiare con frutti di bosco e le erbe dei campi.

In questo luogo, alle prime tentazioni subentrarono terrificanti visioni e frastuoni. In più, attraversò un periodo di terribile oscurità spirituale: lo superò perseverando nella fede, compiendo giorno per giorno la volontà di Dio, come gli avevano insegnato i suoi maestri.

Quando alla fine Cristo gli si rivelò l’eremita chiese: «Dov’eri? Perché non sei apparso fin da principio per far cessare le mie sofferenze?». Si sentì rispondere: «Antonio, io ero qui con te e assistevo alla tua lotta…».

ESAME DEL TESTO EVANGELICO

L’uomo che non sa godersi il riposo è certamente uomo che non si fida più della provvidenza, non sa concedersi spazi di gratuità e che non trova più motivi per ringraziare il suo Signore.

ED È PROPRIO PER CUSTODIRE L’UOMO DA TUTTE QUESTE TERRIBILI TENTAZIONI CHE DIO HA FATTO IL SABATO E LO HA IMPOSTO NEL SUO DECALOGO.

Il Sabato è il giorno scelto dal Signore per riposare e vedere compiersi il capolavoro della sua creazione: come prescritto dalla Legge mosaica (Es 20,11 e Dt 5, 12-13), anche l’uomo è chiamato a contemplare e ringraziare, fermandosi e cessando ogni attività.

Ma quel giorno è sabato però, e Gesù cammina in mezzo ai campi di grano con i suoi discepoli, annunziando loro l’ingresso nella vita piena: è il Signore che trasformerà quel grano in Pane della Vita, lasciandosi gustare da quanti lo seguono, mistero e gioia di quel sabato senza tramonto in cui entrerà qualsiasi uomo che si nutre di Lui.

Ma perché l’evangelista parla di campi di grano seminato?

Perché indica l’azione di Gesù -seminatore di Dio- che poi al capitolo 4 verrà illustrata, che indica all’uomo come un seminare il suo messaggio.

E nel testo odierno l’evangelista vuol far vedere l’effetto di Gesù che passa attraverso il seminato, ovvero attraverso quel messaggio che lui ha proposto alla gente. E passa attraverso il seminato, per vedere l’effetto del lavoro che ha fatto in Galilea, dove ha seminato abbondantemente la sua PAROLA.

Anche i discepoli, accanto a Gesù, attraversano le piantagioni di grano, aprendosi un varco nello strappare le spighe. E il Vangelo annota che essi “ebbero fame” (Mt 12,1) e presero a raccogliere le spighe; quello di Luca sottolinea anche il modo in cui ciò avvenne: “sfregandole con le mani” (Lc 6,1).

Il Signore è lo stesso frumento di cui si nutrono i suoi discepoli in cammino. Anche questa narrazione dà delle indicazioni teologiche. Non è soltanto una narrazione, ma è una profonda indicazione.

Cosa vuol dire fare strada? Con la loro azione, i discepoli aprono un cammino che altri devono poi percorrere.

Nel vangelo di Marco, Gesù chiama i discepoli perché stessero con lui e poi andassero a predicare. Ed è l’intimità con Gesù che da vita ad un camminare che è “un fare strada”, ignorando tutte le prescrizioni che la legge religiosa pone, naturalmente poi, pagando di persona.

Il cammino diventa quindi un esodo fuori dell’istituzione religiosa giudaica.

E in questo contesti i discepoli aprono un cammino, “…strappando spighe”. Non ci è detto il motivo. Se l’evangelista avesse detto “i discepoli affamati strappavano le spighe”, si poteva capire che avevano fame, strappavano le spighe.

Possiamo solo dedurre che facevano strada strappando spighe per per espressione di libertà.

Ma attenzione! Strappare spighe è uno dei 39 lavori principali perché corrisponde al lavoro 3 della mietitura. Non si tratta di un gesto inavvertito, ma di un’azione deliberata pur sapendo che di sabato è proibito compiere questa attività.

Ma la libertà dell’uomo che vive per Cristo, per l’evangelista è sufficiente per ignorare la legge, anche nel suo comandamento più importante. Perché Cristo è il compimento della Legge, dirà Paolo di Tarso ai Romani (Rm 10,4).

Ragioniamoci sopra…

Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!