“«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).
Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.
E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero pasquale presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”
Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”
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Dal Vangelo secondo LUCA 6,39-42
+ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello» Parola del Signore
Mediti…AMO
Oggi la Chiesa ricorda la memoria di San Giovanni Crisostomo (Antiochia c. 349 – Comana sul Mar Nero 14 settembre 407) annunziatore fedele della Parola di Dio, come presbitero ad Antiochia (386-397) e come vescovo a Costantinopoli (397-404).
“Crisostomo”, vale a dire “bocca d’oro”, soprannome dato a Giovanni a motivo del fascino suscitato dalla sua arte oratoria, usata nell’evangelizzazione, nella catechesi, nella liturgia, nella carità e nella missione.
Intransigente quando la fede è minacciata, predica l’amore per il peccatore e per il nemico, e “…il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava”, afferma lo storico Socrate (Storia ecclesiastica 6,4).
Amato dai poveri come un padre, fu osteggiato dai potenti, che vedevano in lui una temibile minaccia per i loro privilegi, e l’inimicizia nei suoi confronti crebbe con l’ascesa al potere dell’imperatrice Eudossia, che nel 403, con l’appoggio del Patriarca di Alessandria, Teofilo, indisse un processo contro Giovanni e lo fece deportare e condannare all’esilio.
Durante la celebrazione della Pasqua del 404 le guardie imperiali fecero irruzione nella cattedrale della città provocando uno spargimento di sangue; vi furono disordini per diversi giorni.
Poco dopo la festa di Pentecoste, Giovanni fu arrestato e nuovamente condannato all’esilio, e per evitare mali ulteriori, il Patriarca lasciò la casa episcopale, si congedò dai Vescovi riuniti in sacrestia e fece chiamare la diaconessa Olimpia e le sue compagne, che conducevano una vita comunitaria a servizio della chiesa nella casa accanto a quella del Vescovo “Venite, figlie, ascoltatemi. Per me è giunta la fine, lo vedo. Ho terminato la corsa e forse non vedrete più il mio volto” (Palladio, Dialogo sulla vita di Giovanni Crisostomo, 10). Con queste parole il padre si accomiata dalle sue figlie spirituali.
“Gloria a Dio in tutto: non smetterò di ripeterlo, sempre dinanzi a tutto quello che mi accade!” (Lettere a Olimpia, 4).
In queste parole troviamo condensata la testimonianza di Giovanni; anche in mezzo alle molte tribolazioni che occorre attraversare per entrare nel regno dei cieli (At 14,22), Giovanni “Boccadoro” ci insegna a cogliere la luce della risurrezione che già si sprigiona dalla croce e a portare la croce nella luce del Cristo risorto. Allora ogni discepolo può proclamare con gioia: “Gloria a Dio in tutto!”.
L’anafora eucaristica da lui rielaborata in forma definitiva sull’antico schema antiocheno è ancor oggi la più diffusa in tutto l’Oriente.
Giovanni il 14 settembre 407, Giovanni morì e daal sepolcro di Comana, il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del santo a Costantinopoli, il 27 gennaio 438.
Nella sua opera di MAESTRO E DOTTORE ha rilievo il commento alle Scritture, specialmente alle lettere paoline, e il suo contributo alla dottrina eucaristica.
Ma veniamo al testo evangelico che la Liturgia oggi ci regala e che contiene parole di Gesù rivolte ai suoi discepoli “…o voi che ascoltate” di Lc 6,27.
Luca riunisce qui detti e parole di Gesù che nel vangelo secondo Matteo hanno collocazioni diverse e significati differenti.
Il detto proverbiale riguardante i ciechi che guidano altri ciechi lo troviamo in Mt 15,14 riferito ai farisei (Mt 15,12-14), inserito all’interno del discorso missionario (Mt 10,24-25) e riflette l’idea giudaica che un discepolo non è chiamato a “superare” il maestro, ma ad assomigliargli attraverso l’acquisizione dell’insegnamento da lui trasmesso.
In Luca (6,39) il discorso si rivolge all’interno della comunità cristiana, con la sottolineatura sulla necessaria “formazione” del discepolo, che apre uno spiraglio sulla vita di una comunità cristiana all’epoca di quell’evangelista e sull’attività catechetica che vi si svolgeva.
Questo significato è presente nell’uso di questo verbo in altri passi neotestamentari:
- 1Ts 3,10 (Paolo desidera recarsi dai Tessalonicesi per “completare ciò che manca alla loro fede”)
- Eb 13,21 dove indica l’azione di perfezionamento che conduce il cristiano compiere la volontà di Dio.
Anche lo sfondo di questo detto è dunque, per Luca, LA COMUNITÀ CRISTIANA.
Altrettanto si deve dire dei vv. 41-42 dove per quattro volte ricorre il vocabolo “adelphòs”, “fratello”, che mette in guardia da un atteggiamento di giudizio, verso il fratello che vive interno alla comunità cristiana: per evitare di correggere i comportamenti di un altro senza vedere e riconoscere i propri difetti.
Contrariamente a una prima e più diffusa, MA ASSOLUTAMENTE DELETERIA LETTURA, il Vangelo non rifiuta la correzione fraterna, ma chiede di esercitarla con rettitudine.
Questa pagina NON PARLA DEI RAPPORTI CON IL PROSSIMO ma della relazione che dobbiamo instaurare CON I FRATELLI NELLA FEDE. CON I QUALI CONDIVIDIAMO LA STESSA STORIA, di cui la correzione fa parte del reciproco sostegno materiale e spirituale che ciascuno ha il dovere di donare all’altro.
Ecco allora che, se vediamo un fratello sbagliare, ABBIAMO IL DOVERE DI AMMONIRLO. Ma sapendo che siamo su un terreno scivoloso (le buone intenzioni sono spesso inquinate dall’orgoglio), il Signore pone alcune condizioni preliminari:
- parlando di pagliuzze chiede di non amplificare i difetti altrui, ma di imparare ad accogliere l’altro con i suoi difetti.
- E, sapendo che abbiamo la tendenza a sminuire le nostre mancanze, ci ricorda di avere sempre davanti agli occhi la nostra personale debolezza, per essere più compassionevole nei confronti degli altri, evitando giudizi severi, e facendoci regalare parole di carità.
- Ricordando che siamo tutti ciechi (6, 39-40), ci invita a lasciarci guidare dall’Unico Maestro per dire ai fratelli una parola che li aiuti a camminare nella verità.
- C’è un’ultima condizione ed è quella oggettivamente più difficile, che Gesù esprime nella forma di un comando, che non ammette discussione “Togli prima la trave dal tuo occhio” (6,42).
Solo chi s’impegna seriamente a fare un cammino di conversione, potrà aiutare il fratello a comprendere i suoi limiti e a correggersi.
Il comandamento “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”, è l’unica strada maestra per la salvezza.
Chi insegna diversamente è una guida cieca, un maestro falso; e chi critica il male altrui, e non vede il proprio, è un ipocrita.
Solo la misericordia può salvare l’uomo dal male perché è quell’amore che non tiene conto del male e lo volge in bene.
La cecità fondamentale è quella di non ritenersi bisognosi della misericordia di Dio. Cieco è il discepolo che non ha sperimentato la misericordia di Dio donatagli in Cristo. Per questo il suo agire è senza misericordia.
Il male che io condanno nel fratello, è sempre una piccola cosa rispetto al male che commetto io arrogandomi il diritto di giudicarlo, QUANDO LO FACCIO IN MODO MALEVOLO.
Il vero male non è tanto il male che si compie, quanto la mancanza di misericordia che ne impedisce il riscatto.
E IL GIUDIZIO SENZA MISERICORDIA NEI CONFRONTI DI UNA COLPA GRAVE È SEMPRE PIÙ GRAVE DELLA COLPA STESSA.
Invece, chi critica se stesso, anziché degli altri, si scopre mendicante di misericordia, quanto e più degli altri.
Questa misericordia gli toglie la cecità e lo rende capace di vedere bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello.
L’UNICA CORREZIONE POSSIBILE, È L’OCCHIO BUONO DEL PERDONO E DELLA MISERICORDIA di DIO.
La cecità fondamentale è quella di non ritenersi bisognosi della misericordia di Dio, donataCi in Cristo, CHE CI RENDE CAPACI DI ESSERE PORTATORI DI MISERICORDIA…. “MISERICORDIOFORI”… regalatemi la possibilità di coniugare questo neologismo.
Ragioniamoci sopra…
Pax et Bonum tibi, frater in Christo!
Il Signore IDDIO ti Benedica
Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…
…e ti prego di copiare e condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!
Sia Lodato Gesù, il Cristo!