11.05.2023 GIOVEDI’ 5 SETTIMANA DI PASQUA A – GIOVANNI 15,9-11 “Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo GIOVANNI 15,9-11

+ In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

La pagina evangelica odierna è la continuazione di quella della “vite vera e dei tralci” che abbiamo meditato ieri e ne è anche il completamento, sempre nel contesto di fondo dei ‘discorsi di Addio’.

Come le due tavole di un dittico, le due parti si illuminano a vicenda, per applicare il paragone della vite alla vita delle comunità cristiane:

  • Nella prima tavola, come abbiamo visto, predomina il linguaggio delle similitudini (la vite e i tralci), che conferisce plasticità alla tematica del “rimanere” e del “portare frutto”.
  • Nella seconda, invece, questi temi sono arricchiti da altri sviluppi non meno incisivi e singolari, come quello dei “comandamenti” e della “gioia”.

Alla luce di tutto il contesto, possiamo dire che un’altra ‘parola’ importante che Gesù lascia in eredità ai suoi discepoli di ogni tempo, e quindi anche a ciascuno di noi, è quella dell’Amore.

E come è possibile vivere questo amore e obbedire ai comandamenti di Gesù?

Il brano evangelico odierno sembra voler rispondere a tale interrogativo e così traccia un percorso, in cui indicativo e imperativo si compenetrano in modo inestricabile.

Il primo indicativo costituisce l’origine e la base fondamentale di tutta la vita cristiana «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi».

Questo amore si erge come una vetta e ci raggiunge senza nostro merito ed è più grande del nostro cuore. Ci avvolge, dilaga e ci sommerge, senza però forzare mai il nostro consenso.

Come il Padre e il Figlio sono venuti a porre in noi la loro dimora (Gv 14,23), noi, a nostra volta possiamo porre la nostra in loro e abitare nel loro amore.

È la mutua inabitazione della Trinità in noi e di noi in essa.

Questo amore viene da lontano: non solamente da Gesù, di cui conosciamo il volto e la voce, ma, attraverso Gesù, dal Padre.

Ecco quale amore abbiamo ricevuto in dono e che siamo chiamati ad effondere: l’amore stesso di Dio, che è vita eterna.

PERCHÉ CHI AMA DIO NON PUÒ NON AMARE IL FRATELLO.

Si tratta di realizzare concretamente atteggiamenti esistenziali che prendono spunto dall’amore di Cristo.

Un amore che procede direttamente dal Padre e che –grazie all’azione dello Spirito Santo – va dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi e, tramite noi, agli altr.

Per poter poi ritornare nuovamente al Padre come frutto di FEDE E TESTIMONIANZA dell’uomo che ama e che quotidianamente ‘incarna’ così la Parola di Dio nella sua vita.

In questa circolazione straordinaria sinergia di amore e di conoscenza l’uomo non è chiamato ad esser servo ma amico.

Viene così ribaltata la logica antica della distanza e sottomissione che definiva il rapporto tra Dio e l’uomo.

Gesù non può pensare ad altro rapporto uomo/Dio che a quello proprio dell’amicizia.

Certamente esso è un tema già presente nell’AT, in quel Dio della Genesi che chiama l’uomo a godere della bellezza del creato e a condividerla insieme.

Essere quindi Amici di Gesù vuol dire essere chiamati a divenire responsabilmente partecipi del progetto di vita che Dio ha per il mondo, e conoscerne la missione e il significato («tutto ciò che ho udito da Padre l’ho fatto conoscere a voi»).

Ecco il contesto nel quale Gesù ci esorta a «rimanere nel suo amore».

L’uomo non può vivere senza amore”, riassumeva efficacemente Giovanni Paolo II (Redemptor Hominis, 10).

Essere e amare si congiungono insieme; o insieme si perdono.

Se vivere significa amare; chi non vive l’amore, chi non è capace di amare e/o non percepisce di essere amato, si trova già immerso nella morte.

Colui che non si sente amato e incapace di amare, rischia di non poter neppure sopravvivere. L’amore è un ingrediente essenziale della vita.

E tuttavia sappiamo tutti quanto sia difficile raccogliere la sfida dell’amore.

Nella predicazione l’amore è presentato spesso come un’esortazione a fare qualcosa, come se tutto dipendesse dall’uomo.

Il Vangelo di oggi invece ricorda che l’amore trova la sua origine e il suo fondamento in Dio.

Chi accoglie Dio nella sua vita, riceve l’amore e diviene capace di amare.

L’invito a rimanere in Lui, ripetuto con insistenza nella prima parte (15,1-8) è la premessa per imparare ad amare.

Solo chi è unito al Padre, in Gesù Cristo, riceve lo Spirito Santo e diviene capace di amare tutti, anche chi non è amabile.

Rimanete nel mio amore” significa dunque “…lasciatevi amare da me, accogliete e custodite quell’amore fedele e fecondo che io ho ricevuto dal Padre e ho donato a voi”, grazie al quale, la linfa dall’amore divino CIRCOLA DALLA VITE AI TRALCI.

Mi piace molto questa immagine dei tralci. Credo sia cosa buona fare un piccolo excursus veterotestamentario, per cercare di capirne il simbolismo, che è ricchissimo.

Il popolo della Bibbia coltivava viti e produceva buon vino.

La raccolta dell’uva era una festa, con canti e danze.

E ciò dette origine al canto della vigna, usato dal profeta Isaia, che paragonò il popolo di Israele ad una vigna (Is 5,1-7; 27,2-5; Sal 80,9-19).

Prima di lui, il profeta Osea aveva già paragonato Israele ad una vigna esuberante che quanti più frutti produceva, più moltiplicava le sue idolatrie (Os 10,1).

Questo tema è stato utilizzato da Geremia, che paragonò Israele ad una vigna bastarda (Ger 2,21), da cui furono sradicati i rami (Ger 5,10; 6,9).

Geremia usa questi simboli perché lui stesso aveva una vigna che fu calpestata e devastata dagli invasori (Ger 12,10).

Durante la schiavitù in Babilonia, Ezechiele usò il simbolo della vite per denunciare l’infedeltà del popolo di Israele, e raccontò tre parabole sulla vite:

  1. La vite bruciata che non serve più a nulla (Ez 15,1-8);
  2. La vite falsa piantata e protetta da due acque, simboli dei re di Babilonia ed Egitto, nemici di Israele (Ez 17,1-10).
  3. La vite distrutta dal vento orientale, immagine della schiavitù di Babilonia (Ez 19,10-14).

Ma il paragone della vite fu usato anche da Gesù in diverse parabole:

  • gli operai della vigna (Mt 21,1-16);
  • i due figli che devono lavorare nella vigna (Mt 21,33-32);
  • coloro che affittarono la vigna, non pagarono il padrone, bastonarono i suoi servi ed uccisero il figlio del padrone (Mt 21,33-45);
  • il fico sterile piantato nella vigna (Lc 13,6-9);
  • la vite e i suoi tralci (Gv 15,1-17).

E mi piace anche la “chiusa” del brano odierno “…vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.

Se ci si ama e si ha perennemente il Signore nel cuore, si può essere felici anche nelle circostanze più difficili.

La gioia è il segno del vero credente, che ama Dio e che resta nell’amore di Cristo.

Il cuore dell’uomo, spesso chiuso e diffidente, a volte fatica ad accettare di essere infinitamente amato da Dio, nonostante i suoi peccati e i suoi rifiuti.

Accettare l’amore non meritato di Cristo, accettare il fatto che egli ci ama di un amore eterno, significa provare una gioia senza limiti, quella gioia che si esprime nelle lacrime del pentimento e negli inni di lode e di ringraziamento.

Perché questa gioia raggiunga la pienezza, l’anima deve restare nel suo amore, deve sforzarsi di fare sempre la sua volontà.

Deve essere pronta a portare la propria croce quotidiana, a sopportare l’assenza di ogni altra gioia, anche se legittima e persino l’esperienza orrenda del non riconoscere la presenza di Dio, in quella notte dell’anima che precede l’alba della gioia eterna.

Ha detto Sant’Agostino, nel “De catechizandis rudibus”, IV,8:

  • «Cristo è venuto innanzi tutto per far conoscere all’uomo quanto Dio lo ami e per fargli sapere che egli deve ardere di amore per Lui che lo ha amato per primo, e amare il prossimo per ordine e sull’esempio di Lui che si è fatto prossimo dell’uomo amandolo».

Ragioniamoci sopra…

Il Signore IDDIO ti Benedica

E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!