09.03.2024 – SABATO 3′ SETTIMANA DI QUARESIMA B – LUCA 19,9-14 “…o Dio… ti ringrazio”.

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre» (Geremia 6,16). Voglia il Cielo che ascoltiamo la voce del Signore che ci dice «…questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

Io ti prego, o mio DIO: effondi il tuo SANTO SPIRITO, su questo indegno tuo servo, perchè io possa leggere la Tua PAROLA, e possa trasmetterla, contemplando ciò che ha rivelato il VERBO TUO.

E beati siano coloro che HANNO OCCHI DI FEDE per riconoscere il mistero presente nell’umile quotidiano e mani operose PER FARE DELLA PROPRIA VITA UN GIARDINO IN CUI DIO PUÒ PASSEGGIARE.”

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo LUCA 19,9-14

+ In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». Parola del Signore

 

Mediti…AMO

La parabola del fariseo e del pubblicano, è una di quelle più note a tutti e allo stesso tempo di quelle che ci introducono nel cuore dell’esperienza cristiana, con una profondità sempre nuova, come se fosse la prima volta che la ascoltiamo.

In questa pagina Gesù parla della preghiera, per farci capire che essa è l’espressione più intensa e più vera dell’esperienza interiore che l’uomo ha di sè stesso.

È la relazione personale dell’uomo con Dio, percepito come il Tu, con il quale l’io dell’uomo, trova pienamente se stesso, ed è la fonte, il modello, per l’uomo, di entrare in relazione con gli altri.

La preghiera è quindi l’esperienza della liberazione da ogni ipocrisia, è la deposizione di ogni maschera, è il momento della verità interiore.

E, allo stesso tempo è l’esperienza più intensa di quel bisogno di amore che ogni uomo sente nel profondo di se, e che trova risposta solo nella gratuità dell’amore di Dio, che è in se’, AMORE PURO, FEDELE E MISERICORDIOSO, da cui deriva la nostra capacitàò di instaurare una relazione sincera di amore con gli altri.

Certo, la preghiera è all’interno di un cammino di fede, mai concluso, che richiede il coraggio della spogliazione di sé per abbandonarsi nell’infinito e sempre misterioso amore di Dio.

Un cammino personale, che si sviluppa all’interno della concretezza degli eventi della vita quotidiana.

E questa spoliazione la troviamo in questa la parabola del fariseo e del pubblicano che salgono al tempio per pregare, nella quale Gesù ci dà alcuni insegnamenti SULL’UMILTÀ, virtù indispensabile per trattare Dio e gli altri.

Essa è anche “la disposizione necessaria per ricevere gratuitamente il dono della preghiera”, ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica (al n.2559).

Ci troviamo di fronte due persone, due modelli di fede e di preghiera.

Possiamo pensare a queste due persone come due spiriti, due atteggiamenti che convivono nel cuore di ciascuno di noi.

Ma dobbiamo dimenticare, di fronte a questa parabola evangelica che ogni azione che facciamo può avere risultati diversi a seconda dello spirito con cui la viviamo.

Perchè nella preghiera esce la verità del cuore.

Il fariseo sta davanti al proprio io, in un monologo tra sé e sé, e ringrazia, ma non per lodare Dio ed entrare in comunione con Lui, bensì per lodare sé e dividersi dagli altri.

E questa è esattamente la preghiera del superbo, che lo rende separato dagli altri e da Dio.

Il pubblicano invece, cosciente del proprio peccato, non ha fiducia neppure nella sua preghiera: ma la preghiera dell’umile penetra le nubi (ci racconta il Libro del Siracide al capitolo 35,17).

Senza l’umiltà non c’è nessuna conoscenza, né di sé, né di Dio.

Però il fariseo in questione non dice il falso quando si vanta davanti a Dio delle sue buone azioni.

Egli è davvero è un fedele devoto e si sforza con tutti i suoi mezzi di non trasgredire neppure uno iota della Legge. È un bel tipo, sincero, è il fatto che prega con le mani alzate, come consuetudine, dimostra che è veramente devoto.

Per di più, digiuna due volte alla settimana, mentre la Legge prescrive di fare un solo digiuno annuale.

E paga anche la decima sulle spezie, non prevista, ampliando l’obbligo rivolto ai contadini.

MENTRE IL PUBBLICANO CHE SI FERMA IN FONDO ALLA SINAGOGA È VERAMENTE UNO CHE SBAGLIA, UN IMPURO PER LA TORAH, ANCHE PER IL SOLO FATTO DI TRATTARE CON I GENTILI.

Era uno che aveva in appalto la riscossione delle tasse dall’Impero Romano, ed esercitava questa funzione, probabilmente come tutti i pubblicani, con prepotenza e violenza.

E non sembrava, almeno da ciò che ci dice il testo, pentito, nè aveva manifestato il proposito di cambiare, nè di restituire quanto aveva rubato, come d’altronde era prescritto dai rabbini.

Perché, allora, Gesù indica come modello il pubblicano? Non certo per il suo comportamento morale ma per la sua situazione interiore:

  • il fariseo ha riempito ogni spazio col suo ego e Dio non sa proprio come fare per incontrarlo.
  • il pubblicano, invece, è consapevole del proprio vuoto. Non è ancora in grado di affrontarlo, di cambiare, di porre dei gesti ma, almeno, sa che ciò che sta facendo lo ha solo riempito di vento, comne ha fatto l’altro.

Come afferma sant’Agostino, parlando di questo pubblicano, “benché la sua coscienza lo allontanasse da Dio, la sua pietà lo avvicinava a lui” (De verb. Dom. Serm. 36).

E il rischio del farsiseo è il rischio che corriamo proprio noi discepoli che già abbiamo accolto il messaggio del Signore Gesù.

Ovvero di essere talmente concentrati sulla nostra immagine spirituale da non sentire più l’abisso del nostro cuore che anela ad essere colmato dalla presenza di Dio.

Perchè troppo spesso siamo diventati dei professionisti del Sacro, degli abitudinari della fede invece di lasciare spazio allo stupore.

E lo stupore nasce sempre da un’assenza, da un bisogno, dalla consapevolezza che siamo mendicanti.

Cosa che ben capisce il pubblicano.

Ma tornando al fariseo, possiamo vedere che Gesù descrive in termini così marcati la sua arroganza, tanto che, nessuno vorrebbe somigliare a lui, ma caso mai, all’umile pubblicano.

San Giovanni Crisostomo commentava così questi versetti (Sermo De fariseo et De publicano):

  • “Infatti, come l’umiltà supera il peso del peccato e uscendo da sé arriva fino a Dio, così la superbia, per i peso che ha, affonda la giustizia. Pertanto, sebbene tu faccia una quantità di cose ben fatte, se credi di poterne fare a meno, perderai il frutto della tua preghiera. Viceversa, anche quando porti nella tua coscienza il peso di mille colpe, se credi di essere il più piccolo di tutti, riuscirai ad avere una grande fiducia in Dio”.

Santa Teresina di Lisieux (in man. C.36v) amava ripetere:

  • «Appena getto lo sguardo nel Santo Vangelo, subito respiro i profumi della vita di Gesù… Non è al primo posto, ma all’ultimo che mi slancio, invece di farmi avanti con il fariseo, ripeto, piena di fiducia, l’umile preghiera del pubblicano».

Ragioniamoci sopra…Pace e Bene!

Il Signore IDDIO ti Benedica

Prega il Signore per me, Fratello che Leggi…

…e ti prego di condividere, se ciò che hai letto è stato di tuo gradimento!

Sia Lodato Gesù, il Cristo!